lunedì 29 settembre 2014

Il Primo Ministro Netanyahu alle Nazioni Unite




Netanyahu: Hamas e Stato islamico condividono la stessa ideologia fanatica

Durante il suo discorso alle Nazioni Unite, il primo ministro ribadisce la posizione di Israele e sostiene che all'Iran non deve essere permesso di ottenere la bomba nucleare.
“Sconfiggere lo Stato islamico", ha detto poche ore fa il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nel suo discorso, il primo ministro ha evidenziato un nesso tra la minaccia che Israele affronta con Hamas a Gaza e la minaccia che la comunità internazionale ha di fronte a se con lo Stato islamico. "Hamas, come lo Stato islamico, vuole un califfato", ha detto.

"L'obiettivo immediato di Hamas 'è quello di distruggere Israele, ma ha un obiettivo più ampio: la stessa ISIS", ha detto il primo ministro. "ISIS e Hamas sono rami dello stesso albero velenoso Quando si tratta di loro obiettivi finali:. Hamas è ISIS e ISIS è Hamas."
"La lotta di Israele contro Hamas è la lotta mondiale contro il militantismo", ha affermato Netanyahu. "La lotta contro l'Islam militante è indivisibile. Ecco perché la lotta di Israele contro Hamas è la vostra lotta. Israele sta combattendo cosa i vostri paesi potrebbero essere chiamati a combattere domani."

Hamas, Stato islamico, Hezbollah e altre organizzazioni militanti islamici "tutti condividono un'ideologia fanatica. Essi cercano di creare enclave continua espansione dell'Islam militante. Dove non c'è libertà o tolleranza", ha avvertito Netanyahu.

"I nazisti credevano in una razza superiore. Gli islamisti militanti credono ciecamente in una fede"

Di Rouhani dice “lacrime di coccodrillo'
Non diversamente da queste organizzazioni militanti dell'Islam, l'Iran è altrettanto pericoloso, il primo ministro ha detto: "L'Iran con armi nucleari sarà la più grave minaccia per noi -. Islamisti militanti con una bomba nucleare"

"Una cosa è confrontarsi con militanti islamici in un camioncino con un fucile, un'altra cosa quando hanno armi di distruzione di massa", ha detto 
 “Sconfiggere ISIS e lasciare l'Iran come potenza nucleare è vincere la battaglia e perdere la guerra," Netanyahu ha aggiunto.

"Il presidente iraniano Rouhani
era qui la scorsa settimana e versava lacrime di coccodrillo", accusa il primo ministro.

"Non fatevi ingannare da
l fascino manipolativo dell'offensiva iraniana", ha ammonito. "E progettato per un solo scopo: per sollevare le sanzioni e rimuovere gli ostacoli sul percorso dell'Iran alla bomba."

"Permettere che ciò accada sarebbe un grave pericolo per il nostro futuro comune.
Una volta che che l'Iran produrrà bombe atomiche, vedrete scomparire il fascino e il sorriso", ha continuato.

Netanyahu
è stato appaludito quando ha ribadito che "le capacità nucleari dell'Iran devono essere completamente smantellate."



'Hamas usa i bambini per proteggere i suoi razzi'
Facendo il punto sulla lotta contro Hamas e sull'operazione Margine Protettivo, il primo ministro ha chiesto ai delegati "Che cosa fareste se i vostri paesi fossero colpiti da migliaia di razzi, contro le vostre città?"

«
Non lascereste di certo che i terroristi sparassero razzi a portata di città con impunità", ha detto Netanyahu, rispondendo alla sua stessa domanda.

"Israele giustamente si è difesa sia contro gli attacchi di razzi sia contro i tunnel del terrore", ha detto.

Hamas, Netanyahu ha detto, ha combattuto una guerra di propaganda. "Hamas ha cinicamente usato
i palestinesi e le scuole delle Nazioni Unite come scudi e siti di stoccaggio, mentre sparava verso Israele." Il premier israeliano ha poi risposto alle accuse del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che nel suo discorso alle Nazioni Unite aveva additato Israele per aver commesso un genocidio a Gaza durante l'Operazione protettiva Edge.

"Non abbiamo deliberatamente di mira i civili a Gaza e ci scusiamo per ogni vittima civile", ha detto Netanyahu. "Nessun altro paese e nessun altro esercito nella storia
aunto noi per evitare vittime tra la popolazione civile del loro nemico. Abbiamo agito moralmente rispetto a qualsiasi altro esercito del mondo. I Soldati israeliani non meritano nessuna condanna, ma solo ammirazione”

Hamas, d'altra parte, "stava facendo tutto il possibile per indirizzare le vite dei civili", ha detto.

Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi dove i bambini palestinesi
vivevano e giocavano", ha continuato Netanyahu, tirando fuori una foto di France 24 relazione durante la guerra, mostrando bambini di Gaza che giocano nei pressi di un lanciarazzi. "Signore e signori, questo è un crimine di guerra. Israele ha usato i suoi missili per proteggere i bambini - Hamas usa i bambini per proteggere i suoi missili "ha detto.


Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite un 'ossimoro'

Netanyahu ha censurato il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, e li ha criticati per la loro ipocrisia nel condannare Israele per le sue azioni, mentre "l'invio di un messaggio ai terroristi di tutto il mondo è stato : Utilizzate i bambini come scudi umani"

"La CDU ha tradito la sua nobile missione di proteggere gli innocenti. Il Consiglio dei diritti umani è diventato il Consiglio per i Diritti
dei terroristi", ha detto Netanyahu. "Anche il termine 'Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite' è un ossimoro."

Secondo Netanyahu,
questo "pregiudizio contro Israele" del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è una nuova forma di antisemitismo.

'Sono disposto a fare un compromesso'
Il primo ministro ha
affrontato il tema dei negoziati di pace israelo-palestinesi, dichiarando che si sono fermati nel mese di aprile..

"Sono pronto a fare un compromesso storico", ha detto.

"Un riavvicinamento più ampi
o tra Israele e il mondo arabo può contribuire a facilitare la pace israelo-palestinese", ha detto Netanyahu. "Israele è pronto a lavorare con i partner arabi per affrontare i pericoli e cogliere le opportunità. C'è un nuovo Medioriente: presenta nuovi rischi, ma anche nuove opportunità. Dobbiamo sconfiggere il jihadismo ed eliminare il rischio del nucleare iraniano. Abbiamo bisogno del mondo arabo per realizzare la pace con i Palestinesi"

L'iniziativa di pace araba, invece, "dovrebbe essere aggiornato in base alle realtà attuali."

"In ogni accordo di pace
inisterò sempre sul fatto che Israele debba potersi difendersi da sé," ha sottolineato il primo ministro "

Netanyahu ha concluso il suo intervento citando il profeta Isaia: 

"Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come una fiaccola"
 
"Cerchiamo di accend
ere una fiaccola della verità e della giustizia per salvaguardare il nostro futuro comune."

domenica 28 settembre 2014

Addio Dan, l'ebreo fortunato che ebbe una vita da romanzo

Da Il Giornale 28.9.2014  di Mario Cervi

Combattè per la nascita dello Stato di Israele. Diplomatico di rango, inviato, avrebbe potuto fare politica: fondò con Montanelli il Giornale. 
È morto a 92 anni



Vittorio Dan Segre (era nato solo Vittorio, poi aggiunse Dan Avni in omaggio al suo essere ebreo, poi si firmò R.A. per ricordare la moglie Rosetta) se n'è andato.
E ricordandolo con commozione mi accorgo di dire addio non a un singolo personaggio ma a tanti personaggi in lui riuniti. Quell'uomo pacato, saggio, disincantato era stato esule, giovanissimo combattente contro la ferocia nazista e per la creazione di Israele, diplomatico di rango, professore universitario, consigliere di potenti...

Era stato, e ne siamo orgogliosi, uno dei fondatori del Giornale , nel 1974: legato a Indro Montanelli da un'amicizia che era un legame d'affetto ma anche d'idee e di ideali. Entrambi, il piemontese e il toscano, borghesi di buona famiglia e di buoni studi che avevano tuttavia in comune un fondo ribelle se non proprio anarchico, l'insofferenza per i luoghi comuni e per le infatuazioni collettive.
Dan Segre era da tempo molto malato. In un articolo malinconico   e fieramente «civico» del febbraio scorso, volendo far l'elogio dell'ospedale in cui era benissimo assistito, aveva scritto: «Alla giovane età di 92 anni sono stato colpito da una malattia di nome leucemia acuta. Qualcuno me la qualifica terminale. Definizione ridicola non solo per la mia età ma per il fatto che l'unica malattia mortale, per tutti gli esseri viventi, mi sembra essere la vita che inizia a spegnersi con la concezione». Frasi con un guizzo d'ironia e con un pessimismo leopardiano. Accompagnate tuttavia dalla fede. Segre era un credente, rispettava profondamente la religione dei padri.
Quell'annuncio, che era anche un congedo, l'avevo subito e sentito come una mazzata. L'indomani volli fargli sapere, su queste stesse colonne, che mi sentivo vicino al suo tormento e al grande momento. «Siamo coetanei - queste le mie righe - l'ultimo appuntamento ci attende a breve. Un po' prima o un po' dopo non fa molta differenza. Mi piacerebbe avviarmi verso la tenebra - o la luce? - con il tuo coraggio antico e con la tua straordinaria dignità».
Addio Dan. O arrivederci. Come recita un titolo di bellissime pagine autobiografiche, la sua è stata la vita di «un ebreo fortunato». Ha scampato l'Olocausto rifugiandosi per tempo in Palestina, è tornato in Italia da vincitore - vincitore davvero non come gli antifascisti dell'ultima ora - nei reparti della «Brigata ebraica», ha visto e vissuto la nascita dello Stato di Israele addestrandone reparti di paracadutisti. È stato attaché dell'ambasciata israeliana a Parigi, e poi ambasciatore in Madagascar, e infine delegato diplomatico per l'Africa occidentale.
Chissà dove sarebbe potuto arrivare se si fosse messo in politica. Ha preferito mettersi nel giornalismo, della qual cosa noi suoi colleghi dobbiamo essergli sommamente grati. Prima qualche collaborazione con quotidiani esteri (in particolare il Figaro dove firmava con lo pseudonimo Renè Bauduc per onorare la moglie Rosetta Bauducco). Poi Il Giornale , traguardo del suo impegno di saggista, di divulgatore, di maestro. Fu a lungo onnipresente e considerato a ragione onnisciente quando ci si riferiva al groviglio inestricabile del Medio Oriente. Sia Andreotti sia Gianni Agnelli se volevano avere un quadro chiaro di situazioni sempre confusissime si rivolgevano a lui fidandosene ciecamente. Perché Segre, appartenente secondo una certa ottica all'universo dei suggeritori e dei consigliori , aveva caratteristiche professionali che in quell'universo sono sconosciute: la sincerità e l'onestà.
Segre era un buon italiano e un patriota israeliano. Ma questi sentimenti personali non gli hanno mai fatto velo nel raccontare e commentare i fatti evidenti e i retroscena oscuri. Non s'è lasciato condizionare dal suo essere ebreo e dal suo essere risolutamente «occidentale». Era troppo intelligente e troppo sapiente per cedere alle semplificazioni, alle rappresentazioni d'una realtà sempre in bianco o in nero. Ci mancherà. Quando saremo assaliti da dubbi non potremo più affidarci a uno che i dubbi, anche se non li risolveva, almeno li chiariva. Dan Segre è stato un uomo dalle molte vite. È stato soprattutto un Uomo.
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 Note di biografia

Dan Segre nasce da famiglia ebraica piemontese, nel ‘39, dopo l'avvento delle leggi razziali, emigra in Palestina, dove cambia il nome anagrafico italiano (semplicemente "Vittorio Segre") in "Dan Avni".
Nel 1944 torna in Italia come corrispondente di guerra al seguito della  Brigata Ebraica
Nel 1948 assiste e partecipa alla fondazione dello Stato di Israele, addestrando fra l'altro un reparto di paracadutisti 
Diventa in seguito attaché all'ambasciata israeliana a Parigi, cominciando così una carriera che lo condurrà a diventare ambasciatore di Israele in Madagascar e poi delegato diplomatico per l'Africa occidentale.
Collabora negli anni con "Le Figaro" (con lo pseudonimo René Bauduc, omaggio al cognome della moglie Rosetta Bauducco), "La Nazione" (con lo pseudonimo Giacomo Sorgi) e il "Corriere della Sera" (con lo pseudonimo R.A.Segre, sempre in omaggio alla moglie, e al proprio cognome israeliano).
Nel 1974 è fra i fondatori e finanziatori del "Giornale" di Indro Montanelli. 
Dal 1969 si dedica alla carriera accademica insegnando a Oxford, Stanford, al MIT di Boston, alla Bocconi e alle Statali di Torino e Milano e dal 1989 è Professore emerito di Pensiero politico ebraico a Haifa.
Autore di saggi come Il poligono mediorientale (1994) e Le metamorfosi di Israele (2006), è noto però soprattutto per la sua autobiografia, Storia di un ebreo fortunato (del 1985, seguita poi dagli ancora autobiografici Il bottone di Molotov, del 2004, e Storia dell'ebreo che voleva essere eroe, del 2014), e per la non-fiction La guerra privata del tenente Guillet (1993).
Nel 1998 ha fondato, presso l'Università della Svizzera Italiana di Lugano, l'Istituto Studi Mediterranei, di cui è ancora presidente.
Nel 2007 l'Archivio Ebraico Terracini di Torino ha acquisito il suo ricco epistolario (con alcuni vincoli temporali), creando così il "Fondo Vittorio Dan & Rosetta Segre"; fra i corrispondenti spiccano i nomi di Golda Meir e Ben Gurion, René Girard, Adin Steinsaltz, Isaiah Berlin, Ralph Dahrendorf, Indro Montanelli, Colette Rosselli, Mario Missiroli, Alfio Russo, Enzo Biagi, nonché Yogananda.

venerdì 26 settembre 2014

Cinematov, Milano 27 -30 settembre 2014


A Milano il cinema israeliano indipendente dal 27 al 30 settembre 2014
L’edizione di Cinematov 2014 propone una rassegna di cinematografica israeliana, intitolata sul tema del lavoro che comprende 8-10 lungometraggi, accompagnati da documentari brevi. Sulla base dell’esperienza degli anni precedenti, proponiamo proiezioni scaglionate nell’arco di quattro giorni, di preferenza il fine di settimana. La rassegna ricalcherà il modello delle edizioni del 2009 e 2013, che si sono svolte al cinema Gnomo e al Teatro Franco Parenti, cioè proiezionedi due film al giorno, preceduti dalle spiegazioni di un critico cinematografico.
Per quest’edizione è stato scelto di mettere l’accento sul ruolo del lavoro nella società israeliana. Il lavoro (in primo luogo quello dei campi) è stato al centro della corrente del “sionismo socialista”, che accomunava il ritorno in Israele col sogno della costruzione di una società più giusta ed egualitaria. Lavoro “liberato” (dallo sfruttamento capitalistico) in un paese ritrovato. Emblema di questa scommessa era (e in parte è ancora) il kibbutz.
Prima idealizzato e poi diventato un sogno infranto, il kibbutz è stato a lungo uno dei temi preferiti del cinema israeliano. Esisteva però, già negli anni Cinquanta e Sessanta, un’altra Israele: quella delle piccole e sperdute cittadine di immigrati dove il diritto al lavoro è sempre stato una lotta quotidiana come nel film “Lehem” (Pane) di Ram Levy. Al tempo stesso il sogno del “lavoro liberato” (di cui erano portatori soprattutto gli ebrei giunti dall’Europa) ha riflesso la divisione tra le diverse comunità alla base della popolazione israeliana. Il conflitto israelo-palestinese offre anch’esso ai realizzatori cinematografici uno spunto per parlare delle diverse realtà rispetto al grande tema del lavoro. Vari film israeliani raccontano i tentativi di convivenza israelo-palestinesi tramite il lavoro come il film documentario “Dughit” o al contrario i rapporti difficili come “Bethlemme”.
La riflessione realizzata attraverso i film della rassegna darà una particolare importanza agli aspetti umani, direttamente o indirettamente legati alle problematiche del lavoro o più semplicemente il luogo del lavoro come microcosmo dove si manifestano amori, odi, conflitti familiari, sogni e delusioni.
Come per la rassegna precedente, la scelta dei film terrà conto della loro qualità e nello stesso tempo offrirà al pubblico la possibilità di vedere dei lavori che arrivano raramente nei circuiti commerciali. Tra questi vogliamo sottolineare il film “Avodà” (Lavoro) realizzato dal fotografo e regista Helmar Lerski nel 1935. Lerski è stato profondamente influenzato dall’espressionismo tedesco e dalla cosiddetta Scuola del montaggio sovietico, ciò che gli ha permesso di trasmettere nel suo film i valori del sionismo dell’inizio del XX secolo attraverso un’estetica molto particolare.
PROGRAMMA
“Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer”
Sabato 27 settembre
Ore 19,00. Documentario: Avodà – Lavoro – Helmar Lerski , 1935, 50 minuti
Film muto, che propone l’idea sionista del lavoro. Lavoro dei campi, lavoro fisico, lavoro come simbolo dell’ “uomo nuovo”. Quindi lavoro per abbandonare lo stereotipo dell’ebreo della diaspora, a cui erano preclusi molti mestieri “normali”. Tra i più importanti fotografi della sua epoca, Lerski ha vissuto per un lungo periodo in Palestina, dove ha realizzo diversi film, che esprimevano l’ideologia dei pionieri in un linguaggio artistico molto originale, vicino all’espressionismo tedesco.
Ore 20,00. Apertura
Ore 20,15. Film: Noa’ar – Youth – Tom Shoval , 2013 , 107 minuti
Il padre di Yeki e Shaul, due giovani fratelli molto legati tra loro, perde il lavoro. La famiglia si trova in una situazione finanziaria disperata e rischia di perdere l’appartamento dove abita. I due giovani escogitano un piano strambo per aiutare i genitori a uscire dall’impasse. Premi al Festival internazionale di Film di Gerusalemme , di Durban, di Sofia e di Salonicco.
Ore 22,15. Documentario: Halutzot – Pioniere-Michal Aviad, 2013, 50 minuti
Il film ricostruisce – attraverso lettere, diari e materiale di archivio – la vita di 5 donne giunte dalla Russia in Palestina all’inizio del XX secolo. Pioniere che sognavano una società nuova e giusta. Fondatrici del kibbutz Ein Harod , queste donne hanno lavorato la terra accanto agli uomini e hanno lottato per creare un mondo solidale ed egualitario. Il sogno però si è scontrato con una realtà più aspra di ciò che avevano immaginato.
Domenica 28 settembre. Maratona di documentari:
Ore 15,30. Lo rahok mehaetz – Non lontano dall’albero – Alon Elsheikh , 2011, 50 minuti
Il film racconta la storia di una famiglia di vignaioli, tra i fondatori della cittadina di Ghedera. Avi Cahanov, il capo famiglia, ha continuato il lavoro di suo padre e lo ha sviluppato. Il figlio di Avi, invece, ha scelto un’altra strada. Conflitti all’interno della famiglia, incomprensioni e scontri trovano la loro espressione nel lavoro che però è anche luogo di incontro e riconciliazione.
Ore 16,30. Ha-hanuiot shel pa’am – I negozi di una volta – Yoav Gurfinkel, 2007, 53 minuti
Il regista ci porta in un viaggio tra i negozi di una volta nella città di Jaffa: un barbiere sul punto di chiudere bottega ma che ancora serve i pochi clienti con “attrezzi” ormai introvabili, una merceria dove i bottoni, fili e aghi aspettano qualcuno che li guardi, due cappellai che ricordano con malinconia i tempi in cui gli uomini non osavano uscire senza cappelli. Nostalgia , tristezza, rassegnazione e un po’ d’ironia in un mondo in via d’estinzione.
Ore 17,30. Bubot Nyar – Bambole di carta- Tomer Heymann, 2006, 80 minuti
La camera del regista segue le vicende di sei “trans” filippini che durante la settimana lavorano come badanti prendendosi cura di persone anziane e il fine di settimana si esibiscono nei club di Tel Aviv in spettacoli di drag queen. Storie di lavoratori stranieri che vivono all’ombra degli attentati che allora colpivano le citta israeliane e della paura di essere rimandati nei paesi d’origine. Storie di amicizia, di solidarietà, di angosce e anche di ottimismo.
19, 45. Tavola rotonda con la partecipazione del regista di Bambole di carte Tomer Heymann, di giornalisti e di critici cinematografici.
Ore 20,30. Beith-lehem – Bethlemme – Yuval Adler , 2013, 99 minuti
Razi è un agente del Shin –Beth , i servizi israeliani di sicurezza interna, e Sanfur un adolescente palestinese , che diventa, suo malgrado, l’informatore di Razi. Fiducia e affetto nascono tra i due ma la dura realtà avrà il meglio suoi sentimenti complessi. Essere agente dei servizi di sicurezza interna non è un lavoro come un altro , perciò le questioni morali , la fedeltà e le emozioni, importanti in qualsiasi lavoro , prendono in questa storia un posto privilegiato e drammatico. Palestinesi e israeliani hanno lavorato insieme per la realizzazione di questo film che ha vinto 6 Ophir, i premi dell’Accademia israeliana di cinema, il premio per il miglior film nei “Tre giorni di Venezia” 2013 ed è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Lunedì 29 settembre
Ore 19, 30. Dughit al maim soarim - Dughit nella tempesta – Ghil Karni , 2002, 53 minuti
Il regista segue gli sviluppi di un villaggio di pescatori israeliani, dei coloni andati a vivere nella Striscia di Gaza. All’inizio i palestinesi insegnano loro a pescare e tutti convivono e lavorano in pace, ma poco a poco i rapporti si degradano fino alla ritirata degli israeliani dalla regione. Ha vinto il premio per il miglior documentario dell’Accademia di cinema israeliano 2006.e ha partecipato a decine di festival nel mondo.
Ore 20,30. Lehem – Pane – Ram Levi, 1986, 80 minuti
In una cittadina sperduta nel sud d’Israele, abitata in maggioranza di ebrei sefarditi, emigrati dal Nord-Africa, gli impiegati di un panificio scioperano perché il proprietario ha ridotto il loro salario. Abbandonati dall’Histadrut,, il grande sindacato e dalle autorità, cercano delle vie per farsi sentire e rispettare. Nato come film per la T.V , Lehem ha ottenuto il Prix Italia della Rai.
Martedì 30 settembre.
Ore 19,30. Eize makom nifla – Che posto meraviglioso – Eyal Halfon , 2005, 104 minuti.
Il film sviluppa tre storie molto diverse tra loro ma con un elemento comune: i rapporti tra i datori di lavoro israeliani e lavoratori stranieri. Per i casi del destino, le vie della mafia russa s’incrociano con quelle dei braccianti thailandesi e con quelle delle badanti filippine.
Cinque premi Ophir, un premio al Festival di Gerusalemme e due premi al Festival di Karlovy Vary.
Ore 21. ‘Earat Shulaim – Footnote – Yossef Cedar, 2011, 103 minuti
Tra Elezer e Uriel Shkolnik, padre e figlio, esiste una grande rivalità. Entrambi sono insegnanti di studi talmudici all’Università ebraica di Gerusalemme, un luogo di lavoro prestigioso e nello stesso tempo terribilmente spietato. Candidato all’Oscar, come miglior film straniero, ha ottenuto 16 premi e 7 nomination in diversi festival internazionali in Israele e all’estero.

lunedì 22 settembre 2014

Rosh Ha Shanah


E' la "testa dell'anno", è la festa che segna l'inizio dell'anno ebraico, e cade nel mese di Tishrei, tra il tardo settembre e il primo ottobre, quest'anno cade il 25-26 settembre, con vigilia la sera del 24.

Rosh ha-shanah è la festività che celebra il capodanno ebraico. E’ chiamata anche Yom teru’ah, “giorno del suono”, Yom ha-din, “giorno del giudizio” e Yom ha-zikkaron, “giorno del ricordo”.

La ricorrenza non è legata ad alcun fatto storico relativo al popolo d’Israele, ma vuol ricordare la creazione del mondo; è, in altre parole, il giorno del “compleanno” della Terra. 
Una data quindi di importanza universale in quanto, riallacciandosi al giorno in cui furono creati il primo uomo e la prima donna, mette in luce che l’intera umanità, discendente tutta dalla prima coppia, gode di pari diritti e dignità in quanto ogni uomo è figlio di Dio.

Nella Torah, non è usato il termine Rosh ha-shanah, bensì quello di Yom teru’ah, “giorno del suono” (dello shofar): nella sinagoga, infatti, il giorno di Rosh ha-shanah lo shofar viene ripetutamente suonato perché, secondo una tradizione, l’ultimo giorno della creazione Dio manifestò la sua gioia e la sua vicinanza all’uomo creato “a immagine divina”, proprio con il suono dello shofar.
In questa prospettiva, il giorno di Capodanno e il periodo immediatamente seguente (periodo, in cui, secondo l’ebraismo, Dio giudica ogni singolo individuo a qualunque popolo appartenga) diviene avvenimento che coinvolge i membri dell’intera umanità.


Ma è anche un giorno che riguarda personalmente ogni individuo perché ognuno di noi ha una personalità a sé stante, con i propri problemi personali, familiari, di lavoro e di salute: problemi che lo spingono a levare gli occhi verso Dio per chiedergli aiuto e conforto, per trovare in lui la forza di continuare, di migliorare, di scegliere la giusta strada.

Il suono dello shofar che echeggia in questo mondo così tecnologicamente avanzato, ma in cui purtroppo l’odio e l’aggressività sono tutt’altro che scomparsi, in cui gli Stati continuano a intraprendere guerre, e ognuno cerca il proprio profitto chiudendosi in piccoli egoismi, ha espressamente lo scopo di richiamare l’attenzione di ognuno di noi su alcune domande fondamentali: “Chi sei? Perché? Che cosa stai facendo della tua vita?”.
Per questa ragione il Capodanno ebraico è avvolto da un’atmosfera di santità, di gioia serena, di rinnovamento e di rafforzamento dei legami che uniscono gli uomini a Dio.

E’ il giorno in cui l’uomo comincia a fare un esame di coscienza per giudicare se stesso, il proprio comportamento durante l’anno trascorso, gli errori commessi, le tentazioni alle quali non ha resistito. E in base a tale giudizio, prende l’impegno di cambiare, di rafforzare le giuste decisioni, di eliminare gli errori per quanto gli sarà possibile. L’errore è infatti una componente umana; le difficoltà che la vita ci prospetta ogni giorno, ci pongono dinanzi a continue scelte, a inevitabili dubbi, a insistenti tentazioni: la santità perfetta è qualità che solo Dio possiede. Ma l’uomo è perfettibile: ed è questo che si propone ogni ebreo nel solenne giorno in cui ha iniziato un nuovo anno, in cui ogni essere umano può compiere una svolta decisiva ed iniziare un nuovo percorso. Senza eccedere né nell’auto-compassione, né nell’autocondanna che raramente raggiungono risultati positivi, ognuno può imporre a se stesso, con la propria forza di volontà, di uscire dal tunnel oscuro del peccato, nella sicurezza che Dio misericordioso è sempre pronto a tendere una mano agli uomini disposti ad affrontare, animati da nuova speranza e da trepida gioia, il prossimo futuro: perché “le porte del perdono sono sempre aperte” e “dal cielo porgono una mano a chi viene a purificarsi”.

Ma, come si diceva, il giorno di Rosh ha-shanah è il giorno in cui anche Dio prende in esame e giudica il comportamento di ogni uomo, le sue opere, i suoi pensieri, i suoi rapporti con il prossimo, il suo pentimento, per decidere del suo destino nell’anno a venire: decisione che assumerà il suo carattere definitivo il giorno di Kippur, sulla base del pentimento dimostrato e dell’impegno assunto durante i giorni penitenziali.

Ma non per paura del castigo, bensì per amore verso Dio, verso la sua opera, verso le sue creature, ci si può avvicinare all’ideale propugnato dall’ebraismo sin dalle sue premesse: riportare sulla terra l’era della pace, meritando così il ritorno alla perfetta pace del Gan Eden!

Rosh ha-shanah è anche la festa della speranza.

Lo shofar
Si tratta di un corno d’animale (normalmente di capro, a memoria dell’animale sacrificato da Abramo al posto di Isacco) adibito a strumento musicale, che ha la sua parte in molti momenti di riti, soprattutto a Rosh ha-shanah e a Kippur.

Il suono dello shofar è un suono ricorrente in tutta la storia ebraica e rappresenta la speranza e la fiducia.

Al suono dello shofar, che echeggiava solennemente sul monte Sinai, furono consegnati a Mosè il Decalogo e la Torah.

Quando Mosè salì la seconda volta sul monte Sinai per ricevere nuovamente le tavole che aveva spezzato alla vista del vitello d’oro, diede ordine che ogni giorno venisse suonato lo shofar perché il suo suono ammonitore impedisse al popolo di lasciarsi nuovamente fuorviare dal culto pagano.

L’anno del Giubileo aveva inizio nel giorno di Kippur, al termine dei dieci giorni penitenziali ed era annunciato con il suono dello shofar. Era l’anno in cui agli “schiavi” veniva restituita la libertà e in cui le terre che, per un qualsiasi motivo, fossero state vendute durante gli anni precedenti, ritornavano agli antichi proprietari: saggia legge sociale che impediva l’eccessivo arricchimento da una parte, la condanna dell’eterna misera dall’altra.

Al suono dello shofar il Signore annuncerà la completa redenzione del suo popolo: “in quel giorno verrà suonato un grande shofar e coloro che erano dispersi nel paese di Assiria, e quelli che erano dispersi nel paese d’Egitto, verranno e si prosterneranno sul monte santo, a Gerusalemme” (Is 27, 13).

E’ in base a questa profezia che nella ‘amidah, preghiera che recita tre volte al giorno, si chiede a Dio: “Suona il tuo grande shofar per annunciare la nostra liberazione, e riuniscici dai quattro angoli della terra nella nostra terra”.

Secondo alcune tradizioni lo shofar rappresenta inoltre la fiducia nella risurrezione dei morti che sarà anch’essa accompagnata dal suono di questo strumento.

E infine anche la redenzione dell’intera umanità, l’Era messianica, secondo la tradizione ebraica sarà annunciata dal suono dello Shofar (cf Is. 18, 3).


Usi e tradizioni
Tashlikh: “Tu getterai”

Nel pomeriggio di Rosh ha-shanah è uso recarsi presso un fiume o al mare, o comunque in un luogo ove ci sia dell’acqua corrente, per gettarvi simbolicamente qualcosa di vecchio, recitando i versi del profeta Michea: “Perché Tu, Dio, getterai nel mare più profondo le nostre colpe” (Mic 7, 19).

Tale cerimonia si chiama Tashlikh.

Ovviamente, come tutti gli usi entrati nella tradizione di ogni popolo, tale cerimonia non deve essere considerata una specie di superstiziosa liberazione da ogni peccato, ma deve essere interpretata nel suo significato simbolico di impegno personale a rigettare ogni cattivo comportamento.

A tavola: il seder di Rosh Ha Shanah
 


La sera di Rosh ha-shanah la tavola ha un aspetto particolarmente festoso e colorato.

Dopo la consacrazione della solenne ricorrenza con il Kiddush, la challah, il pane preparato appositamente per la festa, oltre che nel sale viene intinta nel miele perché “ci conceda il Signore un anno dolce e piacevole”. Inoltre la sua forma non è allungata, ma rotonda, perché l’anno sia privo di spigoli.

Si prepara poi una fruttiera piena di mele e di melograni: le mele vengono intinte nel miele e mangiate dopo il pane, quasi da raddoppiare l’augurio di un anno dolce.
In quanto ai melograni, essi non solo rappresentano una primizia di stagione (e ciò è di buon auspicio per l’anno nuovo e permette di aggiungere alla benedizione di ringraziamento a Dio quella delle primizie), ma vengono divisi tra i commensali, i quali si augurano che durante il nuovo anno le buone azioni si moltiplichino come i semi di un melograno.

In molte comunità si usa terminare la cena con un dolce fatto col miele.
I vari piatti che sono mangiati durante la cena di Rosh ha-shanah sono generalmente composti da: fichi, mela, zucca, finochio, fagiolini, porri, bietola, datteri, melograno, testa d’agnello e di pesce.


In sinagoga

A Rosh ha-shanah, come anche a Kippur, in sinagoga domina il colore bianco. Bianca è la tenda che copre il luogo ove sono contenuti i rotoli della Torah, bianche sono le “vesti” che coprono i rotoli stessi.

Anche coloro che partecipano alla funzione usano indossare un indumento bianco o aggiungere qualche accessorio bianco agli abiti di festa, in quanto il bianco è simbolo di purezza.

Numerosi sono gli inni, i salmi e i canti che si recitano in sinagoga in occasione di Rosh Ha-Shanah.
 
 

lunedì 1 settembre 2014

Nei villaggi dove nasce la rabbia di Israele: Gush Etzion




                   Beitar Illit, Gush Etzion

 Reportage di Maurizio Molinari

A meno di cento metri dall'entrata di Mon Shvut c'è la «trampeada» dove è niziato l'attuale conflitto fra Hamas e Israele. 
La «trampeada» è il posto dove i residenti di Gush Etzion fanno il «tramp» - ovvero l'autostop - per spostarsi in un'area dove i trasporti pubblici sono quasi inesistenti. 
Fu qui che alle 22,30 del 12 giugno gli adolescenti Eyal Yifrah, Naftali Frenkel e Gilad Shaer salgono a bordo dell'auto-trappola di Hamas, dove vengono uccisi poco dopo il sequestro. 
Venire su queste colline, a metà strada fra Gerusalemme e Hebron, serve a comprendere in quale misura il blitz di Hamas ha ferito Israele e dunque, di conseguenza, l'entità della resa dei conti militare ancora in corso nella Striscia di Gaza. Ciò che distingue Gush Etzion - il «Blocco di Sion» - è l'essere un gruppo di insediamenti che, pur trovandosi topograficamente in Cisgiordania, è considerato dagli israeliani parte integrante di Gerusalemme e di Israele. 
Per scoprirne il motivo bisogna attraversare il cancello giallo di Kfar Etzion - attaccato ad Mon Shvut - dove nel 1927 un gruppo di ebrei immigrati dallo Yemen tenta per la prima volta di costruire un insediamento nei pressi delle grotte dove i Maccabei si rifugiarono per sfuggire agli ellennizzanti e dove Bar Kochbà sfidò le legioni di Roma. 
L'intenzione degli yemeniti è di «proteggere Gerusalemme a Sud» ma si arena davanti all'ostilità del terreno roccioso che anche nel 1935 ostacola i fondatori di Kfar Etzion. 
La svolta arriva nel 1943 quando un gruppo di ebrei cecoslovacchi e ungheresi, riusciti a sfuggire alla Shoah, domano le colline di pietra grazie a una rudimentale coltivazione a terrazze. Cinque anni dopo il Gush Etzion è un insieme di quattro insediamenti, somma oltre 500 adulti e 50 bambini, e grazie all'agricoltura inizia a essere un tassello della Gerusalemme ebraica ma viene travolto dalla Legione Giordana 24 ore prima della proclamazione dell'indipendenza di Israele. La Legione infatti, sostenuta dai volontari dei villaggi arabi locali, conquista il Gush uccidendo 240 difensori, catturandone altri 260. Kfar Etzion cade il 13 maggio 1948 e i vincitori ne fanno scempio: ogni edificio è raso al suolo, i difensori che si arrendono sono passati per le armi e i cadaveri delle vittime - in gran parte civili - restano per oltre un anno esposti alle intemperie sul luogo della battaglia. 
Figli e nipoti delle vittime, anno dopo anno, si alternano assieme ai pochi sopravvissuti sul Monte Herzl per osservare da lontano con potenti binocoli - nell'anniversario della caduta - il luogo della strage, identificandola con la quercia solitaria presente su questo colle da almeno 700 anni. Quando nel 1967 gli israeliani conquistano la Cisgiordania, sono gli stessi sopravvissuti e discendenti a ricostruire il Gush distrutto
E un nuovo inizio che dà origine all'attuale blocco di 18 insediamenti, per un totale di 20 mila residenti, la cui caratteristica è di ospitare accademie rabbiniche e vigneti, scuole di trekking e parchi turistici, zoo biblici e start up di alta tecnologia in quello che assomiglia ad un microcosmo della società israeliana. Con una caratteristica in più: la maggioranza dei residenti sono «datim-leumim», nazional-religiosi, ovvero appartengono a quei gruppi di ebrei osservanti che hanno generato i «modern-orthodox» divenuti la tendenza di maggiore successo nell'ebraismo americano. La genesi è nel pensiero di Abraham Isaac Kook, primo rabbino capo ashkenazista della Palestina sotto mandato britannico, favorevole a coniugare ortodossia e modernità, che si studia anche nella yeshivà «Mekor Chaim» di Rabbi Adin Steinsaltz frequentata proprio da Eyal, Naftali e Gad. «Se quando nacque, Israele aveva la sua spina dorsale nei kibbutzim laici di matrice socialista - osserva Meir Steinberg, portavoce del consiglio di Gush Etzion - oggi ad averli sostituiti sono i nazional-religiosi». Per accorgersene basta guardare le foto dei soldati dei reparti speciali in uscita da Gaza dopo la fine delle operazioni di terra: in gran parte hanno in testa la kippà «srugà» ovvero il copricapo religioso ebraico fatto a uncinetto, come usano i nazional-religiosi che si formano spesso nel movimento giovanile Benè Akivà, lo stesso frequentato dal sottotenente dei Givati, Hadar Goldin, il cui corpo esanime è stato catturato a Gaza da Hamas. Senza contare che Efrat, insediamento poco lontano da Gush Etzion, vanta la maggior percentuale di generali per abitante dell'intera nazione. La fusione fra studio della Torà (legge ebraica), servizio militare e identità sionista si rispecchia nella «Pninà Hamà» (Angolo Caloroso), una piccola baracca creata dieci anni fa sull'incrocio stradale all'entrata del Gush dove i volontari servono cibo ai soldati di passaggio, giorno e notte, ogni singolo giorno dell'anno. Fondata dalla moglie di un dottore ucciso in un agguato terroristico, è auto-gestita da un network di dozzine di volontari. Quando vi entriamo dietro al balcone ci sono due donne di 54 anni, entrambe immigrate da New York nel 1984, che servono granite al lampone e dolci di ogni tipo a soldati in transito fra Beersheva e Gerusalemme. «Ogni mattina sono le famiglie che ci portano il cibo, noi siamo qui per darlo gratis ai soldati, facendo turni di 12 ore». E i militari ringraziano lasciando le bandiere dei reparti, o le mostrine delle proprie divise, con tanto di firme, personali e collettive. 
«Pninà Hamà» è un successo tale da essere stata emulata sulle Alture del Golan, in uno degli incroci più frequentati dai soldati al Nord, e a Sud, a ridosso della zona di operazioni a Gaza. «A Gush Etzion c'è l'anima di Israele - riassume Orly Jacobovitch, medico - e dunque chi ci vive non si riconosce nella definizione di "coloni" spesso usata all'estero come anche nelle diatribe sugli insediamenti in Cisgiordania che segnano spesso i rapporti fra Israele e Stati Uniti». A pensarla nello stesso modo è Amit, che gestisce un parco di daini nella Valle di Elah, secondo il quale «su queste colline vengono ogni anno 120 mila turisti perché è uno degli angoli dello Stato dove natura e Storia si fondono di più con l'identità ebraica». 
Da qui i malumori nei confronti del governo Netanyahu «perché non autorizza più la costruzione di immobili - come afferma Meir Steinberg - provocando rincari dei prezzi che impediscono alle giovani coppie di trovare casa». 
II fatto che nella coalizione di Netanyahu vi siano almeno cinque ministri che risiedono negli insediamenti non cambia l'opinione dei residenti. «Netanyahu può fare poco - afferma Ofer, manager del ristorante del vigneto Yekev - perché deve cedere alle pressioni di Obama, il presidente più avverso a noi che sia mai stato alla Casa Bianca».

da La Stampa , Maurizio Molinari 24.8.2014