Da La Stampa, di Maurizio Molinari
Commercio e agricoltura, le contraddizioni del rapporto tra Palestina e Israele
Lo Stato ebraico da un lato è stato descritto come la “potenza
occupante” che con i suoi “insediamenti razzisti” nella West Bank “rende
impossibile la nascita dello Stato” ma dall’altro questi stessi
insediamenti sono fonte di lavoro e benessere economico proprio per i
palestinesi
Vivere in una nazione fatta di enclaves e commerciare con
l’avversario, sentirsi assediati ed in perenne conflitto ma anche
protagonisti della “pacificazione con il cappuccino” a colpi di
investimenti internazionali: sono i due volti della società palestinese
come emergono dal convegno “Vivere e Consumare nella Glocal Palestine”
tenutosi a Nablus.
Il filo conduttore di 48 ore di interventi e dibattiti, con la sovrapposizione fra oratori palestinesi e stranieri, è stata proprio una Palestina a metà fra l’identità “locale” e quella “globale” anzitutto a causa delle molteplici contraddizioni nel rapporto con Israele, come porta d’accesso al commercio internazionale. Lo Stato ebraico infatti da un lato è stato descritto come la “potenza occupante” che con i suoi “insediamenti razzisti” nella West Bank “rende impossibile la nascita dello Stato” ma dall’altro questi stessi insediamenti sono fonte di lavoro, commercio, scambi e benessere economico proprio per i palestinesi della West Bank che ne consumano i prodotti e lavorano nei loro impianti, industriali e agricoli. La cartina tornasole di questa contraddizione “glocal” è infatti, anzitutto, l’agricoltura, come ha spiegato Julie Trottier del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, perché si tratta della maggiore fonte di sostentamento dei palestinesi della West Bank “ma è al tempo stesso interconnessa con l’agricoltura degli insediamenti così come con un vasto sistema di leggi e regolamenti imposti dalle autorità israeliane”.
Il risultato è che numerose famiglie palestinesi oggi “dipendono per le loro entrate dagli insediamenti israeliani” ha spiegato Trottier, aggiungendo un’altra contraddizione: “Molti palestinesi che partecipano in Cisgiordania al boicottaggio dei prodotti degli insediamenti poi in realtà vi lavorano”.
Altri oratori, palestinesi, hanno osservato come tale contrasto fra un mondo “local” verbalmente molto ostile a Israele e una realtà “global” pragmaticamente integrata con lo Stato ebraico si rispecchia con quanto avviene in grandi città palestinesi come Ramallah dove l’attivismo dei militanti nazionalisti anti-israeliani trova ostacoli nell’interesse degli uomini d’affari e delle imprese nella “pacificazione del cappuccino” ovvero basata su investimenti provenienti, in una maniera o nell’altra, dal territorio della nazione avversaria.
Il filo conduttore di 48 ore di interventi e dibattiti, con la sovrapposizione fra oratori palestinesi e stranieri, è stata proprio una Palestina a metà fra l’identità “locale” e quella “globale” anzitutto a causa delle molteplici contraddizioni nel rapporto con Israele, come porta d’accesso al commercio internazionale. Lo Stato ebraico infatti da un lato è stato descritto come la “potenza occupante” che con i suoi “insediamenti razzisti” nella West Bank “rende impossibile la nascita dello Stato” ma dall’altro questi stessi insediamenti sono fonte di lavoro, commercio, scambi e benessere economico proprio per i palestinesi della West Bank che ne consumano i prodotti e lavorano nei loro impianti, industriali e agricoli. La cartina tornasole di questa contraddizione “glocal” è infatti, anzitutto, l’agricoltura, come ha spiegato Julie Trottier del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, perché si tratta della maggiore fonte di sostentamento dei palestinesi della West Bank “ma è al tempo stesso interconnessa con l’agricoltura degli insediamenti così come con un vasto sistema di leggi e regolamenti imposti dalle autorità israeliane”.
Il risultato è che numerose famiglie palestinesi oggi “dipendono per le loro entrate dagli insediamenti israeliani” ha spiegato Trottier, aggiungendo un’altra contraddizione: “Molti palestinesi che partecipano in Cisgiordania al boicottaggio dei prodotti degli insediamenti poi in realtà vi lavorano”.
Altri oratori, palestinesi, hanno osservato come tale contrasto fra un mondo “local” verbalmente molto ostile a Israele e una realtà “global” pragmaticamente integrata con lo Stato ebraico si rispecchia con quanto avviene in grandi città palestinesi come Ramallah dove l’attivismo dei militanti nazionalisti anti-israeliani trova ostacoli nell’interesse degli uomini d’affari e delle imprese nella “pacificazione del cappuccino” ovvero basata su investimenti provenienti, in una maniera o nell’altra, dal territorio della nazione avversaria.
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