sabato 13 dicembre 2014

Chanukkah/ Hannukkah o Festa delle Luci






Ha luogo durante il mese ebraico di Kislev che cade generalmente a Dicembre, quest’anno la festa di Chanukkah viene celebrata dal 17 al 24 dicembre 2014. Il 16 dicembre, verrà accesa la prima candela.

La storia della ricorrenza di Chanukkah è raccontata nel I e II libro dei Maccabei, apocrifo della Bibbia

Durante il suo regno Alessandro il Macedone, Alessandro Magno, assoggetta prima la Grecia, poi le regioni appartenenti all’impero persiano; rivolge quindi la sua attenzione ai paesi mediterranei, e siccome da sempre la Giudea è una via di primaria importanza fra oriente e occidente sia per il commercio, sia per scopi militari, Alessandro la conquista senza peraltro trovare alcuna resistenza da parte della popolazione dal momento che fino ad allora era stata sotto il dominio persiano.

Le varie province dell’impero fondato da Alessandro, pur sottoposte al governo centrale, godono di una notevole autonomia. Il giovane imperatore, innamorato della cultura greca, si adopera a diffonderla presso tutti i popoli sottomessi. E’ lui, infatti, a dare inizio all’epoca che viene definita ellenistica, epoca di grande rinnovamento culturale e artistico, terminata con la conquista della Grecia da parte dell’impero romano.
La tradizione ebraica afferma che Alessandro rimase profondamente colpito anche dalla cultura dei savi di Israele coi quali ebbe frequenti contatti; su questo argomento il Midrash, che sempre su basi storiche, ci fornisce interessantissime testimonianze.
Tuttavia numerosi ebrei si lasciarono influenzare dalla cultura greca dall’ellenismo, giunto all’epoca al culmine del suo splendore.
La civiltà religiosa e sociale ebraica, fondata sulla Torah e sulla letteratura profetica che insegnano monoteismo e l’uguaglianza tra tutti gli uomini, è però radicata e diversa da quella greca che erge i suoi ideali sulla forza e sulla bellezza fisica, suoi valori artistici dell’idolatria. Questa distanza culturale impedisce che l’ellenismo penetri in profondità soprattutto tra la popolazione strettamente legata e fedele agli ideali ebraici.
Alla morte di Alessandro Magno (IV sec. A. Era Cristiana) il regno si smembra e sovrani dei vari stati divengono i diadochi.Segue un periodo molto confuso di lotte, alla fine delle quali la maggior parte dell’impero di Alessandro viene diviso fra Egitto sotto il dominio dei Lagidi, e Siria, sotto quelli dei Seleucidi.
La Giudea rimane in un primo tempo sotto l’Egitto sul trono del quale si succedono tre re lagidi uno dei quali, Tolomeo II Filadelfo, commissiona la traduzione della Bibbia in greco: fatto di grande rilievo poiché da questo momento la Bibbia che, scritto in ebraico, era praticamente inaccessibile alle culture di lingua diversa, può essere letta e studiata anche dai non ebrei.
Tale lettura esercita una notevole influenza sulle classi più culturalmente preparate e sui filosofi già alla ricerca di una concezione religiosa e sociale diversa da quella dell’epoca: ed è così che tutta la civiltà successiva darà fortemente influenzata sia dalla cultura ellenistica, sia da quella ebraica.
Segue un periodo di lotte fra Lagidi e Seleucidi che si riflettono anche in Giudea con alternarsi di momenti più o meno tranquilli, e infine la Giudea passa sotto il dominio dei Seleucidi.
Antioco III, re di Siria, non esercita un potere troppo oppressivo, ma si arroga il diritto di destituire e nominare i sommi sacerdoti ebrei. Sotto Antioco IV si verificherà una scandalosa lotta di potere tra due personalità ebraiche, che avevano ellenizzato i loro nomi in Giasone e Menelao, lotta che coinvolge moralmente e materialmente tutta la popolazione ebraica.
Molti del popolo in Giudea simpatizzavano invece coi chassidim, gli ebrei ligi alle leggi della Torah, perché ritenevano che l’eccessiva influenza dell’ellenismo sulla cultura ebraica potesse portare all’annullamento della sua identità.
Diviene re Antioco IV che si trova a governare popoli di diverse e non omogenee culture: ritiene di poter ovviare a tale difficile situazione imponendo a tutti, compresi gli ebrei, una totale ellenizzazione che significava anche l’accettazione del culto idolatra.
La cultura ellenistica era penetrata senza difficoltà fra la popolazione ebraica affascinata dall’arte, dall’amore per l’estetica, dalla filosofia greca. I giovani si erano appassionati agli esercizi ginnici e frequentavano con entusiasmo il gymnasium, le palestre.
Ma nessuno dei predecessori di Antioco IV si era intromesso nel credo ideologico ebraico, salvaguardando, almeno agli occhi degli ebrei, la loro stessa libertà civile, sostanzialmente coincidente secondo la loro cultura con la libertà religiosa.
L’obbligo di accettare il culto dei greci che sottintendeva il riconoscimento di tutto il suo pittoresco e variopinto Olimpo, non aveva suscitato alcun risentimento presso i popoli idolatri abituati sempre ad aggiungere con la massima disinvoltura ai propri anche gli dèi dei conquistatori; nella Giudea, invece, questa imposizione suscitò una reazione violentissima soprattutto fra i chassidim, i fedeli, i pii, che, come già detto, avevano sempre guardato all’ellenismo con diffidenza, e inoltre non erano mai statifavorevoli alla dinastia dei Seleucidi che si era troppo immischiata nelle questioni religiose ebraiche.
Ma il potente Antioco IV, che si fa chiamare Epifane, “Dio che si manifesta”, ma che gli ebrei chiamano Epimane, “il pazzo”, non può permettere che un piccolo popolo quale quello degli ebrei resti apertamente fedele a un’ideologia monoteista in aperto contrasto con quella di Stato e completamente diversa da quella degli altri popoli del suo impero.
Di fronte al tenace rifiuto degli ebrei di accettare l’idolatria greca, assume un atteggiamento apertamente persecutorio che mira a colpire il cuore della fede ebraica: il 25 di Kislev fa erigere un altare a Giove sul monte del Tempio, proibisce lo studio della Torah, la pratica della circoncisione, l’osservanza del Sabato e delle feste.
I rotoli della Torah vengono bruciati sulle pubbliche piazze. A Gerusalemme viene compiuta una strage fra la popolazione fedele all’ebraismo e costruita una fortezza, l’Acra, presidiata da truppe siriache.
Fra gli ebrei si verificano atti di eroismo: al vecchio Eleazar viene promessa salva la vita purché compia anche solo il gesto di mangiare carne di maiale per dare una dimostrazione al popolo. Eleazar rifiuta e viene ucciso.
Anna, madre di sette figli, li esorta a rifiutare l’imposizione di Antioco di inchinarsi agli idoli, e li invita a proclamare apertamente la loro fede in Dio: i suoi figli vengono torturati e uccisi davanti ai suoi occhi, precedendo di poco la sua stessa sorte.
Ma il popolo ebraico non si arrende: il precetto della circoncisione viene effettuato segretamente, le feste celebrate nell’intimità delle case, la Torah insegnata di nascosto.
Antioco non sopporto la resistenza passiva della popolazione e invia nei vari paesi suoi funzionari a edificare altari su cui far sacrificare agli dèi animali impuri, in particolare maiali, dagli stessi ebrei. Per compiere il sacrificio vengono scelte di proposito eminenti personalità del mondo ebraico. Se rifiutano vengono uccise. 
Antioco spera che vedendo i loro capi profanare apertamente e pubblicamente il proprio credo, anche la popolazione si arrenda alle imposizioni siriache; se questo tentativo fallisse
confida tuttavia di fiaccare la volontà del popolo di fronte al martirio dei capi.
Alcuni funzionari siri giungono a Modi’in, piccola città dove si era rifugiato Mattatià della famiglia degli Asmonei, che era stato il Kohen Gadol, il Sommo Sacerdote.
Anche lì viene edificato un altare e viene imposto a Mattatià di compiere il sacrificio.  Mattatià uccide il funzionario, poi distrugge l’altare.
E’ l’inizio della rivolta.
Mattatià e i suoi cinque figli, Jochanan, Simeone, Giuda, Gionata e Eleazaro, abbandonano Modi’in e si rifugiano sugli impervi monti della Giudea.
La notizia di questo atto di coraggio si diffonde. Una nuova speranza accende gli animi. Intorno a Mattatià e ai suoi figli si riuniscono tutti coloro che, intolleranti dell’oppressione siriaca, scelgono la strada della ribellione per mantenere la propria libertà. 
Sui monti della Giudea si formano centri di raccolta e rifugi in cui ui vivere, e organizzare azioni contro i siri.
Giuda, uno dei figli di Mattatià, prende il commando dei ribelli.
Si verifica così la prima guerra partigiana della storia: una guerriglia che non dà tregua alle truppe sire impedendo loro i movimenti tra una città e l’altra, cogliendo di sorpresa e disarmando i drappelli in transito, e mettendo in seria difficoltà tutta la bene organizzata e potente macchina bellica sira.
Gli ebrei combattono all’insegna dell’improvvisazione, ma hanno un’ottima conoscenza del territorio e dei monti, e soprattutto fede e un ideale da difendere.
Per questa tattica di continuo martellamento sul nemico Giuda merita il titolo di Maccabi, da maccab, “martello”, appellativo con cui in seguito vengono designati anche tutti i suoi fratelli conosciuti infatti come i fratelli maccabei.
La guerriglia si trasforma in una vera e propria guerra: l’entusiasmo di Giuda e dei suoi soldati ha spesso la meglio sul potente esercito nemico. Gli attacchi compiuti dagli ebrei sono preceduti da discorsi di Giuda , da preghiere e da digiuni.
Antioco manda nuovi generali e nuovi soldati in Giudea, ma si trova in una difficile situazione politica. Inoltre si sta affacciando sul Mediterraneo una nuova, pericolosa
potenza: Roma, che sta combattendole guerre puniche per il predominio del Mediterraneo.
Le vittorie conseguite mettono Giuda in condizione di attaccare Gerusalemme. 
La fortezza sira, l’Acra, cade; il Tempio viene liberato, ma è necessario riconsacrarlo con l’accensione del Ner Tamid, un lume che non doveva mai, per nessuna ragione, essere spento in quanto testimonianza della vigile presenza e della fede del popolo in Dio.
Ma i siri avevano imperversato nel Tempio rubando e distruggendo tutto ciò che vi era contenuto, perfino l’olio consacrato necessario per riaccendere il lume: in tutto il Tempio viene ritrovata una minuscola ampollina ancora sigillata, ma il suo contenuto potrà garantire luce solo poche ore e per prepararne dell’altro occorrono per lo meno otto giorni!
Nasce una discussione fra i Sacerdoti: bisogna rinviare la consacrazione di otto giorni, o riconsacrare subito il Tempio pur sapendo che l’olio non basterà il tempo necessario a prepararne dell’altro e che quindi a un certo punto si spegnerà?
La fede ha il sopravento, il lume viene acceso e il Tempio riconsacrato.
E, racconta il Midrash, accade il miracolo: il poco olio dura otto giorni, e il Nertamid non si spegne.

Nel trattato Shabbath della Mishnah leggiamo: “Che cosa significa Chanukkah?
Quando i greci entrarono nel Tempio profanarono tutto l’olio che vi si trovava, ma quando i re della casa degli Asmonei li sopraffecero e furono vittoriosi, cercarono nel Tempio e trovarono soltanto un’ampollina d’olio con il sigillo del sommo sacerdote che conteneva olio appena sufficiente per un giorno: e accadde un miracolo e durò per otto giorni.”
Fu così istituita la festa di Chanukkah, “inaugurazione” e quindi “riconsacrazione”, e i Maestri ritennero giusto che durasse otto giorni, anche in
analogia con la ricorrenza di Sukkoth, la più lunga delle ricorrenze sacre stabilite della Torah (cf Lv 23).
Durante questi otto giorni in ogni casa ebraica vengono accese le luci, per perpetuare il ricordo del miracolo dell’olio e celebrare la vittoria della fede.
E’ significativo che le luci siano accese vicino alla finestra perché i passanti le vedano, gioiscano e ne traggano un monito: non solo la vita del prossimo è sacra, ma anche i
suoi ideali.

(da Le pietre del tempo di Clara ed Elia Kopciowski, www.comunitadibologna.it)


Curiosità: Perché alcune persone dicono Chanukah, mentre altre  Hanukkah?
Rabbi Mark S. Diamond ci spiega che queste due parole sono frutto di due spelling inglesi differenti, ma nessuna delle due è corretta. La parola ebrea della "festa delle luci", Hanukkah/Chanukah, è data da cinque lettere ebree che aprono la consonante het (chet). Questa lettera non è la stessa dell’ “h” inglese (di house per esempio); come neanche della “ch” di “child”; è un suono gutturale ebreo che non ha un preciso corrispondente nella lingua inglese.

martedì 25 novembre 2014

Israele, le facili critiche degli italiani





Il grande scrittore israeliano David Grossman si trova in questi giorni in Italia per promuovere il suo nuovo e bellissimo romanzo, “Applausi a scena vuota”. In occasione dell’uscita di questo libro, molto diverso dai precedenti, egli ha concesso un’intervista a “Sette” del Corriere della Sera. Grossman, come di consueto nel caso suo e di tanti altri scrittori israeliani, ha dedicato parte dell’intervista alla situazione del Medio Oriente, al conflitto israeliano-palestinese e all’ultima estate di sangue fra Hamas e Israele.
Come risaputo, Grossman è molto critico verso la “miopia” dei governi israeliani, ma in questa intervista mi hanno colpito le sue parole dedicate all’ipocrisia dell’Occidente verso Israele e verso le guerre in Medio Oriente in generale. “Negli ultimi tre anni Bashar Al-assad ha fatto strage dei suoi stessi cittadini. Duecentomila, un genocidio. Quante dimostrazioni avete visto contro di lui? Sulla Siria, uscita dall’agenda internazionale, l’Occidente è ipocrita e indifferente”.

Io, come intellettuale che vive fra le due culture, quella italiana e quella israeliana, noto da diverso tempo il senso critico smisurato che si usa in Italia quando si parla di Israele. Certi esponenti della sinistra radicale, come Diliberto (non so se i giovani lettori del blog se lo ricordano), dicevano “io riconosco il diritto di Israele di esistere” come fosse necessario che un politico italiano desse un sigillo di legittimità allo stato ebraico. In molte altre occasioni, per esempio nella seconda guerra del Libano (2006), si bruciavano bandiere israeliane a Milano. Non ricordo nemmeno una bandiera siriana bruciata in nessuna città italiana, e nel caso di Assad si parla di genocidio. Mi sembra umanamente ed eticamente doveroso che chi è sensibile all’occupazione israeliana dei Territori dovrebbe inorridire di fronte a un genocidio di questa portata.

Troppo facile, mi ha insegnato l’amico scrittore arabo di Acri Ala Hlehel, dedicare tanta attenzione nell’ultimo anno all’Isis e lasciare Bashar Al-assad e il suo governo totalitario a massacrare bambini, donne, vecchi e anche stranieri.
Un altro campo dove si rivela questo eccessivo senso critico verso Israele sono i commenti sui diversi giornali italiani. Comparare il sionismo all’apartheid è una cosa inacettabile. Parlare dell’esercito israeliano come simile a quello nazista o accusare Israele di “pulizia etnica” sono toni che si sono insinuati nel dibattito politico italiano che riguarda il Medio Oriente.
Ogni italiano, di sinistra o di destra, ha un lungo elenco etico con cui deve fare i conti. La xenofobia dichiarata della Lega, la criminalità organizzata e il suo disprezzo per la vita umana, che costringe uno scrittore a vivere sotto scorta per un libro pubblicato, gli immigrati disperati che trovano la morte nelle acque territoriali italiane o che lavorano come schiavi nei campi. Ma anche un fatto non meno eclatante rilevato da Furio Colombo su il Fatto Quotidiano del 21 novembre: che in Italia, se sei di genitori stranieri, non basta nascere su questo territorio, crescere su questo territorio, parlare italiano, mangiare italiano, conoscere anche i dialetti del tuo luogo d’infanzia per diventare cittadino. Delle volte questi italiani al 100% aspettano 16, 18 anni prima che questo diritto venga loro riconosciuto.

Gli scrittori e intellettuali israeliani sono molto seguiti e amati in Italia, tanti dei miei colleghi sono invitati nei maggiori festival di letteratura in Italia anche più d’una volta l’anno. In nessuna occasione qualcuno di loro ha criticato gli “armadi della vergogna”, che certi governi italiani hanno chiuso per loro comodità. Quando vengono qua si occupano delle lacune del loro paese e del loro governo, perché così è giusto. Mi auguro di vedere altrettanto senso critico anche nella destra e nella sinistra italiana. 
A Israele ci penseranno i grandi scrittori e filosofi israeliani.



di: Alon Altaras, Il Fatto Quotidiano 22 novembre 2014,

domenica 12 ottobre 2014

Vivere e Consumare nella Glocal Palestine

 

Da La Stampa, di Maurizio Molinari

 Commercio e agricoltura, le contraddizioni del rapporto tra Palestina e Israele

Lo Stato ebraico da un lato è stato descritto come la “potenza occupante” che con i suoi “insediamenti razzisti” nella West Bank “rende impossibile la nascita dello Stato” ma dall’altro questi stessi insediamenti sono fonte di lavoro e benessere economico proprio per i palestinesi

Vivere in una nazione fatta di enclaves e commerciare con l’avversario, sentirsi assediati ed in perenne conflitto ma anche protagonisti della “pacificazione con il cappuccino” a colpi di investimenti internazionali: sono i due volti della società palestinese come emergono dal convegno “Vivere e Consumare nella Glocal Palestine” tenutosi a Nablus.

Il filo conduttore di 48 ore di interventi e dibattiti, con la sovrapposizione fra oratori palestinesi e stranieri, è stata proprio una Palestina a metà fra l’identità “locale” e quella “globale” anzitutto a causa delle molteplici contraddizioni nel rapporto con Israele, come porta d’accesso al commercio internazionale. Lo Stato ebraico infatti da un lato è stato descritto come la “potenza occupante” che con i suoi “insediamenti razzisti” nella West Bank “rende impossibile la nascita dello Stato” ma dall’altro questi stessi insediamenti sono fonte di lavoro, commercio, scambi e benessere economico proprio per i palestinesi della West Bank che ne consumano i prodotti e lavorano nei loro impianti, industriali e agricoli. La cartina tornasole di questa contraddizione “glocal” è infatti, anzitutto, l’agricoltura, come ha spiegato Julie Trottier del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, perché si tratta della maggiore fonte di sostentamento dei palestinesi della West Bank “ma è al tempo stesso interconnessa con l’agricoltura degli insediamenti così come con un vasto sistema di leggi e regolamenti imposti dalle autorità israeliane”.

Il risultato è che numerose famiglie palestinesi oggi “dipendono per le loro entrate dagli insediamenti israeliani” ha spiegato Trottier, aggiungendo un’altra contraddizione: “Molti palestinesi che partecipano in Cisgiordania al boicottaggio dei prodotti degli insediamenti poi in realtà vi lavorano”.
Altri oratori, palestinesi, hanno osservato come tale contrasto fra un mondo “local” verbalmente molto ostile a Israele e una realtà “global” pragmaticamente integrata con lo Stato ebraico si rispecchia con quanto avviene in grandi città palestinesi come Ramallah dove l’attivismo dei militanti nazionalisti anti-israeliani trova ostacoli nell’interesse degli uomini d’affari e delle imprese nella “pacificazione del cappuccino” ovvero basata su investimenti provenienti, in una maniera o nell’altra, dal territorio della nazione avversaria.  

giovedì 2 ottobre 2014

Yom Kippur - il giorno del Pentimento

Il 10° di Tishri del calendario ebraico è stato sempre il giorno più sacro del calendario ebraico sin dai tempi di Mosè, il “Sabato dei Sabati”. 
Questa giornata è incentrata sull’espiazione e sul perdono dei peccati. Era in questo giorno che il sommo sacerdote entrava nel Luogo Santissimo o Santo dei Santi, all’interno del Tempio per fare l’espiazione annuale per sé stesso e per la nazione d’Israele. 
«L'Eterno parlò ancora a Mosè dicendo: Il decimo giorno di questo settimo mese sarà il giorno dell'espiazione. Ci sarà per voi una santa convocazione; umilierete le anime vostre e offrirete all'Eterno un sacrificio fatto col fuoco. In questo giorno non farete alcun lavoro, perché è il giorno dell'espiazione, per fare espiazione per voi davanti all'Eterno, il vostro DIO. Poiché ogni persona che in questo giorno non si umilia, sarà sterminata di mezzo al suo popolo. E ogni persona che in questo giorno farà un qualsiasi lavoro, io, questa persona, la distruggerò di mezzo al suo popolo. Non farete alcun lavoro. È una legge perpetua per tutte le vostre generazioni, in tutti i luoghi dove abiterete. Sarà per voi un sabato di riposo, in cui umilierete le anime vostre; il nono giorno del mese, dalla sera alla sera seguente, celebrerete il vostro sabato» (Lev.23:26-32)

Quest'anno 2014, Yom Kippur cade il 4 ottobre (la festività comincia la sera del 3!).
La parola «yôm» significa «giorno». La parola «kippur» è molto spesso tradotta come «espiazione». La parola «kippur» viene dalla radice «kaphar», che letteralmente significa coprirsi o nascondere. L’espiazione è la "copertura del peccato". Dà a intendere anche l'idea di un riscatto o di una redenzione, o di uno scambio
Kippùr si basa su tre concetti fondamentali: 
esame di coscienza  (cheshbonòt néfesh),
confessione delle nostre colpe (viddùi),
espiazione (kapparà) e perdono (selichà).

Nella Torah viene chiamato Yom haKippurim (Ebraico, "Giorno degli espìanti"). È uno dei cosiddetti Yamim Noraim (Ebraico, letteralmente "Giorni terribili", più propriamente "Giorni di timore reverenziale"). Gli Yamim Noraim vanno da Roh ha Shana a Yom Kippur, che sono rispettivamente i primi due giorni e l'ultimo giorno dei Dieci Giorni del Pentimento.
Nel calendario ebraico Yom Kippur incomincia al crepuscolo del decimo giorno del mese ebraico di Tishri (che cade tra Settembre e Ottobre del calendario gregoriano), e continua fino alle prime stelle della notte successiva. Può quindi durare 25-26 ore.

Nel pensiero ebraico
Il tema centrale è l'espiazione dei peccati e la riconciliazione. È proibito mangiare, bere, lavarsi, truccarsi, indossare scarpe di pelle ed avere rapporti sessuali. Il digiuno - astinenza totale da cibo e bevande - inizia qualche attimo prima del tramonto (chiamata tosefet Yom Kippur - aggiunta a Yom Kippur - l'aggiunta di una piccola parte del giorno precedente al digiuno è prescritta dalla Halakha), e termina dopo il tramonto successivo, all'apparire delle prime stelle. Le persone malate consultano in anticipo un'autorità rabbinica competente per verificare se il loro stato le esenti dal digiuno.

Il servizio ha inizio con la preghiera di Kol Nidre che deve essere recitata prima del tramonto. Kol Nidre (parola aramaica che significa "tutte le promesse") rappresenta l'annullamento di tutti i voti pronunciati nel corso dell'anno. Secondo The Jewish Encyclopedia, il testo della preghiera recita: 
"Tutti i voti, gli impegni, i giuramenti e gli anatemi che siano chiamati 'konam', 'konas', o con qualsiasi altro nome, che potremmo aver pronunziato o per i quali potremmo esserci impegnati siano cancellati, da questo giorno di pentimento sino al prossimo (la cui venuta è attesa con gioia), noi ci pentiremo".
Yom Kippur completa il periodo di penitenza di dieci giorni iniziato con il capodanno di Rosh haShana. Sebbene le preghiere con le quali si chiede perdono siano consigliate durante l'intero anno, diventano particolarmente sentite in questo giorno.
La preghiera mattutina viene preceduta da alcune litanie e richieste di perdono chiamate selihot; nel giorno di Kippur queste vengono aggiunte in abbondanza nella liturgia.

In accordo con Mosè Maimonide "Tutto dipende da quanto un uomo meriti che vengano cancellati i demeriti che pesano su suo conto", quindi è auspicabile di moltiplicare le nostre buone azioni prima del conteggio finale fatto il Giorno del Pentimento (ib. iii. 4). 
Coloro che Dio considera meritevoli entreranno nel Libro della Vita, la preghiera recita: "Entriamo nel Libro della Vita". Recita anche l'auspicio "Possa tu essere iscritto (nel Libro della Vita) per un gioioso anno". Nella corrispondenza scritta tra capodanno e il Giorno del Pentimento, colui che scrive conclude, abitualmente, augurando al mittente che Dio approvi il suo desiderio di felicità..

Il Giorno del Pentimento sopravisse all'abbandono delle pratiche sacrificali dell'anno 70 CE. "Nonostante nessun sacrificio verrà offerto, il giorno manterrà il suo proprio effetto di espiazione" (Midrash Sifra, Emor, xiv.). I testi ebraici insegnano che in questo giorno non è permesso che venga compiuta altra attività che non sia il pentimento. Il pentimento è l'indispensabile condizione per tutti i vari significati dell'espiazione. La confessione del penitente è una condizione richiesta per l'espiazione.
"Il Giorno del Pentimento assolve dalle colpe di fronte a Dio, ma non di fronte alla persona offesa fin quando non si ottiene il perdono esplicito dalla stessa" (Talmud Yoma viii. 9). È usanza di terminare ogni disputa o litigio alla veglia del giorno di digiuno. Anche le anime dei morti sono incluse nella comunità dei perdonabili del Giorno del Pentimento. È un costume per i bambini che abbiano perso i genitori di ricevere una menzione pubblica in sinagoga, e di offrire doni caritatevoli alle loro anime.

Contrariamente al credo popolare, Yom Kippur non è un giorno triste. Gli ebrei Sefarditi, ovvero gli ebrei di origine spagnola, portoghese o nordafricana chiamano questa festività il "Digiuno Bianco". Di conseguenza, molti ebrei hanno l'usanza di indossare solo vestiti bianchi, per simbolizzare il candore delle loro anime.
La liturgia
Per le preghiere della sera viene indossato un Talled (uno scialle di preghiera rettangolare), e questo è l'unico servizio serale dell'anno in cui questo succede. Ne'ilah è un servizio speciale che si tiene solo a Yom Kippur, e lo chiude. Yom Kippur termina con il suono dello shofar, che conclude la celebrazione. 
Viene sempre osservato un giorno di vacanza, sia dentro che fuori i confini della terra di Israele.
Il servizio nella sinagoga comincia alla sera della vigilia con il Kol Nidre. Le devozioni durante il giorno sono continue dalla mattina alla sera. Molta importanza è data al brano liturgico in cui si narra il cerimoniale del tempio.
Secondo il Talmud, Dio apre tre libri il primo giorno dell'anno, Rosh Hashana: uno per i cattivi assoluti, un altro per i buoni assoluti, e il terzo per la grande classe intermedia. 
Il fato dei buoni e cattivi assoluti viene determinato in quel momento; il destino della classe intermedia resta sospeso fino al giorno di Yom Kippur, quando il fato di ognuno si decide. Il brano liturgico Unetanneh Tokef afferma:

"D-o Re, che siedi su un trono di misericordia per giudicare il mondo, allo stesso momento Giudice, Difensore, Esperto e Testimone, apri il Libro delle Firme. Si legge che dovrebbero esserci le firme di ogni uomo. La grande tromba viene suonata; si sente una voce piccola e decisa; gli angeli fremono, dicendo "Questo è il giorno del Giudizio": perché gli stessi ministri di Dio non sono puri dinnanzi a Lui. Come un pastore dirige il suo gregge, facendolo passare sotto il proprio bastone, così Dio fa passare ogni vivente di fronte a Lui, per stabilire i limiti della vita di ogni creatura e per definirne il destino. Nel giorno di capodanno il decreto è stilato; nel giorno del pentimento è sigillato; chi vivrà e chi morirà... Ma il pentimento, la preghiera e la carità possono evitare il crudele decreto."
La "Corona di Maestà" di Ibn Gvirol è aggiunta alla liturgia Sefardita nel servizio serale, ed è anche letta in alcune sinagoghe Askenazite ed Italiane. Al centro della liturgia antica è la confessione dei peccati. "Perché non siamo tanto presuntuosi da dirTi che siamo giusti e non abbiamo peccato; ma, nella realtà, abbiamo peccato... sia la Tua volontà che io non pecchi ulteriormente; Ti piaccia lavare i miei peccati trascorsi, secondo la Tua bontà, ma non con punizioni severe".
Le melodie tradizionali con i loro toni di lamento (della tradizione Askenazita) danno espressione sia all'angoscia individuale a fronte dell'incertezza del destino e al lamento di un popolo per le glorie perdute. Nel giorno di espiazione l'ebreo osservante dimentica la mondanità e le sue necessità e, escludendo l'odio, l'antipatia e tutti i pensieri ignobili, cerca di occuparsi unicamente di cose spirituali. I libri ebraici di preghiera fanno notare che, se gli atti di pubblica contrizione sono obbligatori, il correttivo più efficace è quello stabilito dai Profeti biblici, che insegnano che il vero digiuno di cui D-o gioisce è lo spirito di devozione, gentilezza e penitenza.
Il carattere austero impresso alla cerimonia dal tempo della sua istituzione è stato conservato fino ad oggi. 

Anche se altre cose sono divenute desuete, la presa sulla coscienza di ogni ebreo è così forte che pochi, a meno che non abbiano reciso ogni legame con l'ebraismo, evitano di osservare il giorno di espiazione astenedosi dal lavoro quotidiano e partecipando alle funzioni.


lunedì 29 settembre 2014

Il Primo Ministro Netanyahu alle Nazioni Unite




Netanyahu: Hamas e Stato islamico condividono la stessa ideologia fanatica

Durante il suo discorso alle Nazioni Unite, il primo ministro ribadisce la posizione di Israele e sostiene che all'Iran non deve essere permesso di ottenere la bomba nucleare.
“Sconfiggere lo Stato islamico", ha detto poche ore fa il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nel suo discorso, il primo ministro ha evidenziato un nesso tra la minaccia che Israele affronta con Hamas a Gaza e la minaccia che la comunità internazionale ha di fronte a se con lo Stato islamico. "Hamas, come lo Stato islamico, vuole un califfato", ha detto.

"L'obiettivo immediato di Hamas 'è quello di distruggere Israele, ma ha un obiettivo più ampio: la stessa ISIS", ha detto il primo ministro. "ISIS e Hamas sono rami dello stesso albero velenoso Quando si tratta di loro obiettivi finali:. Hamas è ISIS e ISIS è Hamas."
"La lotta di Israele contro Hamas è la lotta mondiale contro il militantismo", ha affermato Netanyahu. "La lotta contro l'Islam militante è indivisibile. Ecco perché la lotta di Israele contro Hamas è la vostra lotta. Israele sta combattendo cosa i vostri paesi potrebbero essere chiamati a combattere domani."

Hamas, Stato islamico, Hezbollah e altre organizzazioni militanti islamici "tutti condividono un'ideologia fanatica. Essi cercano di creare enclave continua espansione dell'Islam militante. Dove non c'è libertà o tolleranza", ha avvertito Netanyahu.

"I nazisti credevano in una razza superiore. Gli islamisti militanti credono ciecamente in una fede"

Di Rouhani dice “lacrime di coccodrillo'
Non diversamente da queste organizzazioni militanti dell'Islam, l'Iran è altrettanto pericoloso, il primo ministro ha detto: "L'Iran con armi nucleari sarà la più grave minaccia per noi -. Islamisti militanti con una bomba nucleare"

"Una cosa è confrontarsi con militanti islamici in un camioncino con un fucile, un'altra cosa quando hanno armi di distruzione di massa", ha detto 
 “Sconfiggere ISIS e lasciare l'Iran come potenza nucleare è vincere la battaglia e perdere la guerra," Netanyahu ha aggiunto.

"Il presidente iraniano Rouhani
era qui la scorsa settimana e versava lacrime di coccodrillo", accusa il primo ministro.

"Non fatevi ingannare da
l fascino manipolativo dell'offensiva iraniana", ha ammonito. "E progettato per un solo scopo: per sollevare le sanzioni e rimuovere gli ostacoli sul percorso dell'Iran alla bomba."

"Permettere che ciò accada sarebbe un grave pericolo per il nostro futuro comune.
Una volta che che l'Iran produrrà bombe atomiche, vedrete scomparire il fascino e il sorriso", ha continuato.

Netanyahu
è stato appaludito quando ha ribadito che "le capacità nucleari dell'Iran devono essere completamente smantellate."



'Hamas usa i bambini per proteggere i suoi razzi'
Facendo il punto sulla lotta contro Hamas e sull'operazione Margine Protettivo, il primo ministro ha chiesto ai delegati "Che cosa fareste se i vostri paesi fossero colpiti da migliaia di razzi, contro le vostre città?"

«
Non lascereste di certo che i terroristi sparassero razzi a portata di città con impunità", ha detto Netanyahu, rispondendo alla sua stessa domanda.

"Israele giustamente si è difesa sia contro gli attacchi di razzi sia contro i tunnel del terrore", ha detto.

Hamas, Netanyahu ha detto, ha combattuto una guerra di propaganda. "Hamas ha cinicamente usato
i palestinesi e le scuole delle Nazioni Unite come scudi e siti di stoccaggio, mentre sparava verso Israele." Il premier israeliano ha poi risposto alle accuse del presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, che nel suo discorso alle Nazioni Unite aveva additato Israele per aver commesso un genocidio a Gaza durante l'Operazione protettiva Edge.

"Non abbiamo deliberatamente di mira i civili a Gaza e ci scusiamo per ogni vittima civile", ha detto Netanyahu. "Nessun altro paese e nessun altro esercito nella storia
aunto noi per evitare vittime tra la popolazione civile del loro nemico. Abbiamo agito moralmente rispetto a qualsiasi altro esercito del mondo. I Soldati israeliani non meritano nessuna condanna, ma solo ammirazione”

Hamas, d'altra parte, "stava facendo tutto il possibile per indirizzare le vite dei civili", ha detto.

Hamas ha deliberatamente messo i suoi razzi dove i bambini palestinesi
vivevano e giocavano", ha continuato Netanyahu, tirando fuori una foto di France 24 relazione durante la guerra, mostrando bambini di Gaza che giocano nei pressi di un lanciarazzi. "Signore e signori, questo è un crimine di guerra. Israele ha usato i suoi missili per proteggere i bambini - Hamas usa i bambini per proteggere i suoi missili "ha detto.


Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite un 'ossimoro'

Netanyahu ha censurato il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, e li ha criticati per la loro ipocrisia nel condannare Israele per le sue azioni, mentre "l'invio di un messaggio ai terroristi di tutto il mondo è stato : Utilizzate i bambini come scudi umani"

"La CDU ha tradito la sua nobile missione di proteggere gli innocenti. Il Consiglio dei diritti umani è diventato il Consiglio per i Diritti
dei terroristi", ha detto Netanyahu. "Anche il termine 'Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite' è un ossimoro."

Secondo Netanyahu,
questo "pregiudizio contro Israele" del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è una nuova forma di antisemitismo.

'Sono disposto a fare un compromesso'
Il primo ministro ha
affrontato il tema dei negoziati di pace israelo-palestinesi, dichiarando che si sono fermati nel mese di aprile..

"Sono pronto a fare un compromesso storico", ha detto.

"Un riavvicinamento più ampi
o tra Israele e il mondo arabo può contribuire a facilitare la pace israelo-palestinese", ha detto Netanyahu. "Israele è pronto a lavorare con i partner arabi per affrontare i pericoli e cogliere le opportunità. C'è un nuovo Medioriente: presenta nuovi rischi, ma anche nuove opportunità. Dobbiamo sconfiggere il jihadismo ed eliminare il rischio del nucleare iraniano. Abbiamo bisogno del mondo arabo per realizzare la pace con i Palestinesi"

L'iniziativa di pace araba, invece, "dovrebbe essere aggiornato in base alle realtà attuali."

"In ogni accordo di pace
inisterò sempre sul fatto che Israele debba potersi difendersi da sé," ha sottolineato il primo ministro "

Netanyahu ha concluso il suo intervento citando il profeta Isaia: 

"Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come una fiaccola"
 
"Cerchiamo di accend
ere una fiaccola della verità e della giustizia per salvaguardare il nostro futuro comune."

domenica 28 settembre 2014

Addio Dan, l'ebreo fortunato che ebbe una vita da romanzo

Da Il Giornale 28.9.2014  di Mario Cervi

Combattè per la nascita dello Stato di Israele. Diplomatico di rango, inviato, avrebbe potuto fare politica: fondò con Montanelli il Giornale. 
È morto a 92 anni



Vittorio Dan Segre (era nato solo Vittorio, poi aggiunse Dan Avni in omaggio al suo essere ebreo, poi si firmò R.A. per ricordare la moglie Rosetta) se n'è andato.
E ricordandolo con commozione mi accorgo di dire addio non a un singolo personaggio ma a tanti personaggi in lui riuniti. Quell'uomo pacato, saggio, disincantato era stato esule, giovanissimo combattente contro la ferocia nazista e per la creazione di Israele, diplomatico di rango, professore universitario, consigliere di potenti...

Era stato, e ne siamo orgogliosi, uno dei fondatori del Giornale , nel 1974: legato a Indro Montanelli da un'amicizia che era un legame d'affetto ma anche d'idee e di ideali. Entrambi, il piemontese e il toscano, borghesi di buona famiglia e di buoni studi che avevano tuttavia in comune un fondo ribelle se non proprio anarchico, l'insofferenza per i luoghi comuni e per le infatuazioni collettive.
Dan Segre era da tempo molto malato. In un articolo malinconico   e fieramente «civico» del febbraio scorso, volendo far l'elogio dell'ospedale in cui era benissimo assistito, aveva scritto: «Alla giovane età di 92 anni sono stato colpito da una malattia di nome leucemia acuta. Qualcuno me la qualifica terminale. Definizione ridicola non solo per la mia età ma per il fatto che l'unica malattia mortale, per tutti gli esseri viventi, mi sembra essere la vita che inizia a spegnersi con la concezione». Frasi con un guizzo d'ironia e con un pessimismo leopardiano. Accompagnate tuttavia dalla fede. Segre era un credente, rispettava profondamente la religione dei padri.
Quell'annuncio, che era anche un congedo, l'avevo subito e sentito come una mazzata. L'indomani volli fargli sapere, su queste stesse colonne, che mi sentivo vicino al suo tormento e al grande momento. «Siamo coetanei - queste le mie righe - l'ultimo appuntamento ci attende a breve. Un po' prima o un po' dopo non fa molta differenza. Mi piacerebbe avviarmi verso la tenebra - o la luce? - con il tuo coraggio antico e con la tua straordinaria dignità».
Addio Dan. O arrivederci. Come recita un titolo di bellissime pagine autobiografiche, la sua è stata la vita di «un ebreo fortunato». Ha scampato l'Olocausto rifugiandosi per tempo in Palestina, è tornato in Italia da vincitore - vincitore davvero non come gli antifascisti dell'ultima ora - nei reparti della «Brigata ebraica», ha visto e vissuto la nascita dello Stato di Israele addestrandone reparti di paracadutisti. È stato attaché dell'ambasciata israeliana a Parigi, e poi ambasciatore in Madagascar, e infine delegato diplomatico per l'Africa occidentale.
Chissà dove sarebbe potuto arrivare se si fosse messo in politica. Ha preferito mettersi nel giornalismo, della qual cosa noi suoi colleghi dobbiamo essergli sommamente grati. Prima qualche collaborazione con quotidiani esteri (in particolare il Figaro dove firmava con lo pseudonimo Renè Bauduc per onorare la moglie Rosetta Bauducco). Poi Il Giornale , traguardo del suo impegno di saggista, di divulgatore, di maestro. Fu a lungo onnipresente e considerato a ragione onnisciente quando ci si riferiva al groviglio inestricabile del Medio Oriente. Sia Andreotti sia Gianni Agnelli se volevano avere un quadro chiaro di situazioni sempre confusissime si rivolgevano a lui fidandosene ciecamente. Perché Segre, appartenente secondo una certa ottica all'universo dei suggeritori e dei consigliori , aveva caratteristiche professionali che in quell'universo sono sconosciute: la sincerità e l'onestà.
Segre era un buon italiano e un patriota israeliano. Ma questi sentimenti personali non gli hanno mai fatto velo nel raccontare e commentare i fatti evidenti e i retroscena oscuri. Non s'è lasciato condizionare dal suo essere ebreo e dal suo essere risolutamente «occidentale». Era troppo intelligente e troppo sapiente per cedere alle semplificazioni, alle rappresentazioni d'una realtà sempre in bianco o in nero. Ci mancherà. Quando saremo assaliti da dubbi non potremo più affidarci a uno che i dubbi, anche se non li risolveva, almeno li chiariva. Dan Segre è stato un uomo dalle molte vite. È stato soprattutto un Uomo.
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 Note di biografia

Dan Segre nasce da famiglia ebraica piemontese, nel ‘39, dopo l'avvento delle leggi razziali, emigra in Palestina, dove cambia il nome anagrafico italiano (semplicemente "Vittorio Segre") in "Dan Avni".
Nel 1944 torna in Italia come corrispondente di guerra al seguito della  Brigata Ebraica
Nel 1948 assiste e partecipa alla fondazione dello Stato di Israele, addestrando fra l'altro un reparto di paracadutisti 
Diventa in seguito attaché all'ambasciata israeliana a Parigi, cominciando così una carriera che lo condurrà a diventare ambasciatore di Israele in Madagascar e poi delegato diplomatico per l'Africa occidentale.
Collabora negli anni con "Le Figaro" (con lo pseudonimo René Bauduc, omaggio al cognome della moglie Rosetta Bauducco), "La Nazione" (con lo pseudonimo Giacomo Sorgi) e il "Corriere della Sera" (con lo pseudonimo R.A.Segre, sempre in omaggio alla moglie, e al proprio cognome israeliano).
Nel 1974 è fra i fondatori e finanziatori del "Giornale" di Indro Montanelli. 
Dal 1969 si dedica alla carriera accademica insegnando a Oxford, Stanford, al MIT di Boston, alla Bocconi e alle Statali di Torino e Milano e dal 1989 è Professore emerito di Pensiero politico ebraico a Haifa.
Autore di saggi come Il poligono mediorientale (1994) e Le metamorfosi di Israele (2006), è noto però soprattutto per la sua autobiografia, Storia di un ebreo fortunato (del 1985, seguita poi dagli ancora autobiografici Il bottone di Molotov, del 2004, e Storia dell'ebreo che voleva essere eroe, del 2014), e per la non-fiction La guerra privata del tenente Guillet (1993).
Nel 1998 ha fondato, presso l'Università della Svizzera Italiana di Lugano, l'Istituto Studi Mediterranei, di cui è ancora presidente.
Nel 2007 l'Archivio Ebraico Terracini di Torino ha acquisito il suo ricco epistolario (con alcuni vincoli temporali), creando così il "Fondo Vittorio Dan & Rosetta Segre"; fra i corrispondenti spiccano i nomi di Golda Meir e Ben Gurion, René Girard, Adin Steinsaltz, Isaiah Berlin, Ralph Dahrendorf, Indro Montanelli, Colette Rosselli, Mario Missiroli, Alfio Russo, Enzo Biagi, nonché Yogananda.

venerdì 26 settembre 2014

Cinematov, Milano 27 -30 settembre 2014


A Milano il cinema israeliano indipendente dal 27 al 30 settembre 2014
L’edizione di Cinematov 2014 propone una rassegna di cinematografica israeliana, intitolata sul tema del lavoro che comprende 8-10 lungometraggi, accompagnati da documentari brevi. Sulla base dell’esperienza degli anni precedenti, proponiamo proiezioni scaglionate nell’arco di quattro giorni, di preferenza il fine di settimana. La rassegna ricalcherà il modello delle edizioni del 2009 e 2013, che si sono svolte al cinema Gnomo e al Teatro Franco Parenti, cioè proiezionedi due film al giorno, preceduti dalle spiegazioni di un critico cinematografico.
Per quest’edizione è stato scelto di mettere l’accento sul ruolo del lavoro nella società israeliana. Il lavoro (in primo luogo quello dei campi) è stato al centro della corrente del “sionismo socialista”, che accomunava il ritorno in Israele col sogno della costruzione di una società più giusta ed egualitaria. Lavoro “liberato” (dallo sfruttamento capitalistico) in un paese ritrovato. Emblema di questa scommessa era (e in parte è ancora) il kibbutz.
Prima idealizzato e poi diventato un sogno infranto, il kibbutz è stato a lungo uno dei temi preferiti del cinema israeliano. Esisteva però, già negli anni Cinquanta e Sessanta, un’altra Israele: quella delle piccole e sperdute cittadine di immigrati dove il diritto al lavoro è sempre stato una lotta quotidiana come nel film “Lehem” (Pane) di Ram Levy. Al tempo stesso il sogno del “lavoro liberato” (di cui erano portatori soprattutto gli ebrei giunti dall’Europa) ha riflesso la divisione tra le diverse comunità alla base della popolazione israeliana. Il conflitto israelo-palestinese offre anch’esso ai realizzatori cinematografici uno spunto per parlare delle diverse realtà rispetto al grande tema del lavoro. Vari film israeliani raccontano i tentativi di convivenza israelo-palestinesi tramite il lavoro come il film documentario “Dughit” o al contrario i rapporti difficili come “Bethlemme”.
La riflessione realizzata attraverso i film della rassegna darà una particolare importanza agli aspetti umani, direttamente o indirettamente legati alle problematiche del lavoro o più semplicemente il luogo del lavoro come microcosmo dove si manifestano amori, odi, conflitti familiari, sogni e delusioni.
Come per la rassegna precedente, la scelta dei film terrà conto della loro qualità e nello stesso tempo offrirà al pubblico la possibilità di vedere dei lavori che arrivano raramente nei circuiti commerciali. Tra questi vogliamo sottolineare il film “Avodà” (Lavoro) realizzato dal fotografo e regista Helmar Lerski nel 1935. Lerski è stato profondamente influenzato dall’espressionismo tedesco e dalla cosiddetta Scuola del montaggio sovietico, ciò che gli ha permesso di trasmettere nel suo film i valori del sionismo dell’inizio del XX secolo attraverso un’estetica molto particolare.
PROGRAMMA
“Sogno e lavoro: dal kibbutz al computer”
Sabato 27 settembre
Ore 19,00. Documentario: Avodà – Lavoro – Helmar Lerski , 1935, 50 minuti
Film muto, che propone l’idea sionista del lavoro. Lavoro dei campi, lavoro fisico, lavoro come simbolo dell’ “uomo nuovo”. Quindi lavoro per abbandonare lo stereotipo dell’ebreo della diaspora, a cui erano preclusi molti mestieri “normali”. Tra i più importanti fotografi della sua epoca, Lerski ha vissuto per un lungo periodo in Palestina, dove ha realizzo diversi film, che esprimevano l’ideologia dei pionieri in un linguaggio artistico molto originale, vicino all’espressionismo tedesco.
Ore 20,00. Apertura
Ore 20,15. Film: Noa’ar – Youth – Tom Shoval , 2013 , 107 minuti
Il padre di Yeki e Shaul, due giovani fratelli molto legati tra loro, perde il lavoro. La famiglia si trova in una situazione finanziaria disperata e rischia di perdere l’appartamento dove abita. I due giovani escogitano un piano strambo per aiutare i genitori a uscire dall’impasse. Premi al Festival internazionale di Film di Gerusalemme , di Durban, di Sofia e di Salonicco.
Ore 22,15. Documentario: Halutzot – Pioniere-Michal Aviad, 2013, 50 minuti
Il film ricostruisce – attraverso lettere, diari e materiale di archivio – la vita di 5 donne giunte dalla Russia in Palestina all’inizio del XX secolo. Pioniere che sognavano una società nuova e giusta. Fondatrici del kibbutz Ein Harod , queste donne hanno lavorato la terra accanto agli uomini e hanno lottato per creare un mondo solidale ed egualitario. Il sogno però si è scontrato con una realtà più aspra di ciò che avevano immaginato.
Domenica 28 settembre. Maratona di documentari:
Ore 15,30. Lo rahok mehaetz – Non lontano dall’albero – Alon Elsheikh , 2011, 50 minuti
Il film racconta la storia di una famiglia di vignaioli, tra i fondatori della cittadina di Ghedera. Avi Cahanov, il capo famiglia, ha continuato il lavoro di suo padre e lo ha sviluppato. Il figlio di Avi, invece, ha scelto un’altra strada. Conflitti all’interno della famiglia, incomprensioni e scontri trovano la loro espressione nel lavoro che però è anche luogo di incontro e riconciliazione.
Ore 16,30. Ha-hanuiot shel pa’am – I negozi di una volta – Yoav Gurfinkel, 2007, 53 minuti
Il regista ci porta in un viaggio tra i negozi di una volta nella città di Jaffa: un barbiere sul punto di chiudere bottega ma che ancora serve i pochi clienti con “attrezzi” ormai introvabili, una merceria dove i bottoni, fili e aghi aspettano qualcuno che li guardi, due cappellai che ricordano con malinconia i tempi in cui gli uomini non osavano uscire senza cappelli. Nostalgia , tristezza, rassegnazione e un po’ d’ironia in un mondo in via d’estinzione.
Ore 17,30. Bubot Nyar – Bambole di carta- Tomer Heymann, 2006, 80 minuti
La camera del regista segue le vicende di sei “trans” filippini che durante la settimana lavorano come badanti prendendosi cura di persone anziane e il fine di settimana si esibiscono nei club di Tel Aviv in spettacoli di drag queen. Storie di lavoratori stranieri che vivono all’ombra degli attentati che allora colpivano le citta israeliane e della paura di essere rimandati nei paesi d’origine. Storie di amicizia, di solidarietà, di angosce e anche di ottimismo.
19, 45. Tavola rotonda con la partecipazione del regista di Bambole di carte Tomer Heymann, di giornalisti e di critici cinematografici.
Ore 20,30. Beith-lehem – Bethlemme – Yuval Adler , 2013, 99 minuti
Razi è un agente del Shin –Beth , i servizi israeliani di sicurezza interna, e Sanfur un adolescente palestinese , che diventa, suo malgrado, l’informatore di Razi. Fiducia e affetto nascono tra i due ma la dura realtà avrà il meglio suoi sentimenti complessi. Essere agente dei servizi di sicurezza interna non è un lavoro come un altro , perciò le questioni morali , la fedeltà e le emozioni, importanti in qualsiasi lavoro , prendono in questa storia un posto privilegiato e drammatico. Palestinesi e israeliani hanno lavorato insieme per la realizzazione di questo film che ha vinto 6 Ophir, i premi dell’Accademia israeliana di cinema, il premio per il miglior film nei “Tre giorni di Venezia” 2013 ed è stato candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Lunedì 29 settembre
Ore 19, 30. Dughit al maim soarim - Dughit nella tempesta – Ghil Karni , 2002, 53 minuti
Il regista segue gli sviluppi di un villaggio di pescatori israeliani, dei coloni andati a vivere nella Striscia di Gaza. All’inizio i palestinesi insegnano loro a pescare e tutti convivono e lavorano in pace, ma poco a poco i rapporti si degradano fino alla ritirata degli israeliani dalla regione. Ha vinto il premio per il miglior documentario dell’Accademia di cinema israeliano 2006.e ha partecipato a decine di festival nel mondo.
Ore 20,30. Lehem – Pane – Ram Levi, 1986, 80 minuti
In una cittadina sperduta nel sud d’Israele, abitata in maggioranza di ebrei sefarditi, emigrati dal Nord-Africa, gli impiegati di un panificio scioperano perché il proprietario ha ridotto il loro salario. Abbandonati dall’Histadrut,, il grande sindacato e dalle autorità, cercano delle vie per farsi sentire e rispettare. Nato come film per la T.V , Lehem ha ottenuto il Prix Italia della Rai.
Martedì 30 settembre.
Ore 19,30. Eize makom nifla – Che posto meraviglioso – Eyal Halfon , 2005, 104 minuti.
Il film sviluppa tre storie molto diverse tra loro ma con un elemento comune: i rapporti tra i datori di lavoro israeliani e lavoratori stranieri. Per i casi del destino, le vie della mafia russa s’incrociano con quelle dei braccianti thailandesi e con quelle delle badanti filippine.
Cinque premi Ophir, un premio al Festival di Gerusalemme e due premi al Festival di Karlovy Vary.
Ore 21. ‘Earat Shulaim – Footnote – Yossef Cedar, 2011, 103 minuti
Tra Elezer e Uriel Shkolnik, padre e figlio, esiste una grande rivalità. Entrambi sono insegnanti di studi talmudici all’Università ebraica di Gerusalemme, un luogo di lavoro prestigioso e nello stesso tempo terribilmente spietato. Candidato all’Oscar, come miglior film straniero, ha ottenuto 16 premi e 7 nomination in diversi festival internazionali in Israele e all’estero.

lunedì 22 settembre 2014

Rosh Ha Shanah


E' la "testa dell'anno", è la festa che segna l'inizio dell'anno ebraico, e cade nel mese di Tishrei, tra il tardo settembre e il primo ottobre, quest'anno cade il 25-26 settembre, con vigilia la sera del 24.

Rosh ha-shanah è la festività che celebra il capodanno ebraico. E’ chiamata anche Yom teru’ah, “giorno del suono”, Yom ha-din, “giorno del giudizio” e Yom ha-zikkaron, “giorno del ricordo”.

La ricorrenza non è legata ad alcun fatto storico relativo al popolo d’Israele, ma vuol ricordare la creazione del mondo; è, in altre parole, il giorno del “compleanno” della Terra. 
Una data quindi di importanza universale in quanto, riallacciandosi al giorno in cui furono creati il primo uomo e la prima donna, mette in luce che l’intera umanità, discendente tutta dalla prima coppia, gode di pari diritti e dignità in quanto ogni uomo è figlio di Dio.

Nella Torah, non è usato il termine Rosh ha-shanah, bensì quello di Yom teru’ah, “giorno del suono” (dello shofar): nella sinagoga, infatti, il giorno di Rosh ha-shanah lo shofar viene ripetutamente suonato perché, secondo una tradizione, l’ultimo giorno della creazione Dio manifestò la sua gioia e la sua vicinanza all’uomo creato “a immagine divina”, proprio con il suono dello shofar.
In questa prospettiva, il giorno di Capodanno e il periodo immediatamente seguente (periodo, in cui, secondo l’ebraismo, Dio giudica ogni singolo individuo a qualunque popolo appartenga) diviene avvenimento che coinvolge i membri dell’intera umanità.


Ma è anche un giorno che riguarda personalmente ogni individuo perché ognuno di noi ha una personalità a sé stante, con i propri problemi personali, familiari, di lavoro e di salute: problemi che lo spingono a levare gli occhi verso Dio per chiedergli aiuto e conforto, per trovare in lui la forza di continuare, di migliorare, di scegliere la giusta strada.

Il suono dello shofar che echeggia in questo mondo così tecnologicamente avanzato, ma in cui purtroppo l’odio e l’aggressività sono tutt’altro che scomparsi, in cui gli Stati continuano a intraprendere guerre, e ognuno cerca il proprio profitto chiudendosi in piccoli egoismi, ha espressamente lo scopo di richiamare l’attenzione di ognuno di noi su alcune domande fondamentali: “Chi sei? Perché? Che cosa stai facendo della tua vita?”.
Per questa ragione il Capodanno ebraico è avvolto da un’atmosfera di santità, di gioia serena, di rinnovamento e di rafforzamento dei legami che uniscono gli uomini a Dio.

E’ il giorno in cui l’uomo comincia a fare un esame di coscienza per giudicare se stesso, il proprio comportamento durante l’anno trascorso, gli errori commessi, le tentazioni alle quali non ha resistito. E in base a tale giudizio, prende l’impegno di cambiare, di rafforzare le giuste decisioni, di eliminare gli errori per quanto gli sarà possibile. L’errore è infatti una componente umana; le difficoltà che la vita ci prospetta ogni giorno, ci pongono dinanzi a continue scelte, a inevitabili dubbi, a insistenti tentazioni: la santità perfetta è qualità che solo Dio possiede. Ma l’uomo è perfettibile: ed è questo che si propone ogni ebreo nel solenne giorno in cui ha iniziato un nuovo anno, in cui ogni essere umano può compiere una svolta decisiva ed iniziare un nuovo percorso. Senza eccedere né nell’auto-compassione, né nell’autocondanna che raramente raggiungono risultati positivi, ognuno può imporre a se stesso, con la propria forza di volontà, di uscire dal tunnel oscuro del peccato, nella sicurezza che Dio misericordioso è sempre pronto a tendere una mano agli uomini disposti ad affrontare, animati da nuova speranza e da trepida gioia, il prossimo futuro: perché “le porte del perdono sono sempre aperte” e “dal cielo porgono una mano a chi viene a purificarsi”.

Ma, come si diceva, il giorno di Rosh ha-shanah è il giorno in cui anche Dio prende in esame e giudica il comportamento di ogni uomo, le sue opere, i suoi pensieri, i suoi rapporti con il prossimo, il suo pentimento, per decidere del suo destino nell’anno a venire: decisione che assumerà il suo carattere definitivo il giorno di Kippur, sulla base del pentimento dimostrato e dell’impegno assunto durante i giorni penitenziali.

Ma non per paura del castigo, bensì per amore verso Dio, verso la sua opera, verso le sue creature, ci si può avvicinare all’ideale propugnato dall’ebraismo sin dalle sue premesse: riportare sulla terra l’era della pace, meritando così il ritorno alla perfetta pace del Gan Eden!

Rosh ha-shanah è anche la festa della speranza.

Lo shofar
Si tratta di un corno d’animale (normalmente di capro, a memoria dell’animale sacrificato da Abramo al posto di Isacco) adibito a strumento musicale, che ha la sua parte in molti momenti di riti, soprattutto a Rosh ha-shanah e a Kippur.

Il suono dello shofar è un suono ricorrente in tutta la storia ebraica e rappresenta la speranza e la fiducia.

Al suono dello shofar, che echeggiava solennemente sul monte Sinai, furono consegnati a Mosè il Decalogo e la Torah.

Quando Mosè salì la seconda volta sul monte Sinai per ricevere nuovamente le tavole che aveva spezzato alla vista del vitello d’oro, diede ordine che ogni giorno venisse suonato lo shofar perché il suo suono ammonitore impedisse al popolo di lasciarsi nuovamente fuorviare dal culto pagano.

L’anno del Giubileo aveva inizio nel giorno di Kippur, al termine dei dieci giorni penitenziali ed era annunciato con il suono dello shofar. Era l’anno in cui agli “schiavi” veniva restituita la libertà e in cui le terre che, per un qualsiasi motivo, fossero state vendute durante gli anni precedenti, ritornavano agli antichi proprietari: saggia legge sociale che impediva l’eccessivo arricchimento da una parte, la condanna dell’eterna misera dall’altra.

Al suono dello shofar il Signore annuncerà la completa redenzione del suo popolo: “in quel giorno verrà suonato un grande shofar e coloro che erano dispersi nel paese di Assiria, e quelli che erano dispersi nel paese d’Egitto, verranno e si prosterneranno sul monte santo, a Gerusalemme” (Is 27, 13).

E’ in base a questa profezia che nella ‘amidah, preghiera che recita tre volte al giorno, si chiede a Dio: “Suona il tuo grande shofar per annunciare la nostra liberazione, e riuniscici dai quattro angoli della terra nella nostra terra”.

Secondo alcune tradizioni lo shofar rappresenta inoltre la fiducia nella risurrezione dei morti che sarà anch’essa accompagnata dal suono di questo strumento.

E infine anche la redenzione dell’intera umanità, l’Era messianica, secondo la tradizione ebraica sarà annunciata dal suono dello Shofar (cf Is. 18, 3).


Usi e tradizioni
Tashlikh: “Tu getterai”

Nel pomeriggio di Rosh ha-shanah è uso recarsi presso un fiume o al mare, o comunque in un luogo ove ci sia dell’acqua corrente, per gettarvi simbolicamente qualcosa di vecchio, recitando i versi del profeta Michea: “Perché Tu, Dio, getterai nel mare più profondo le nostre colpe” (Mic 7, 19).

Tale cerimonia si chiama Tashlikh.

Ovviamente, come tutti gli usi entrati nella tradizione di ogni popolo, tale cerimonia non deve essere considerata una specie di superstiziosa liberazione da ogni peccato, ma deve essere interpretata nel suo significato simbolico di impegno personale a rigettare ogni cattivo comportamento.

A tavola: il seder di Rosh Ha Shanah
 


La sera di Rosh ha-shanah la tavola ha un aspetto particolarmente festoso e colorato.

Dopo la consacrazione della solenne ricorrenza con il Kiddush, la challah, il pane preparato appositamente per la festa, oltre che nel sale viene intinta nel miele perché “ci conceda il Signore un anno dolce e piacevole”. Inoltre la sua forma non è allungata, ma rotonda, perché l’anno sia privo di spigoli.

Si prepara poi una fruttiera piena di mele e di melograni: le mele vengono intinte nel miele e mangiate dopo il pane, quasi da raddoppiare l’augurio di un anno dolce.
In quanto ai melograni, essi non solo rappresentano una primizia di stagione (e ciò è di buon auspicio per l’anno nuovo e permette di aggiungere alla benedizione di ringraziamento a Dio quella delle primizie), ma vengono divisi tra i commensali, i quali si augurano che durante il nuovo anno le buone azioni si moltiplichino come i semi di un melograno.

In molte comunità si usa terminare la cena con un dolce fatto col miele.
I vari piatti che sono mangiati durante la cena di Rosh ha-shanah sono generalmente composti da: fichi, mela, zucca, finochio, fagiolini, porri, bietola, datteri, melograno, testa d’agnello e di pesce.


In sinagoga

A Rosh ha-shanah, come anche a Kippur, in sinagoga domina il colore bianco. Bianca è la tenda che copre il luogo ove sono contenuti i rotoli della Torah, bianche sono le “vesti” che coprono i rotoli stessi.

Anche coloro che partecipano alla funzione usano indossare un indumento bianco o aggiungere qualche accessorio bianco agli abiti di festa, in quanto il bianco è simbolo di purezza.

Numerosi sono gli inni, i salmi e i canti che si recitano in sinagoga in occasione di Rosh Ha-Shanah.