martedì 22 luglio 2014

Aharon Appelfeld: I TERRORISTI PROTEGGONO SE STESSI NON LA LORO POSIZIONE. LA VITA UMANA NON CONTA"


Nei giorni scors è apparsa su La Stampa questa bella intervista che il grande scrittore israeliano Aharon Appelfeld ha rilasciato ad Alain Elkan.
Ve la riporto

"Aharon Appelfeld vive quasi come un recluso nella sua casa, in un paesino vicino a Gerusalemme. Quando suona l’allarme scende in cantina con la moglie, come chiunque altro in Israele in questi giorni.
«Tutti i ricordi della seconda guerra mondiale mi stanno ritornando in mente e sono sicuro che questo accada a tutti i sopravvissuti dell’Olocausto e a quelli della guerra dei sei giorni e di quella dello Yom Kippur. Non è facile vivere quando tutte le nostre città sono sotto l’attacco dei razzi. Generalmente si ha l’idea che Israele sia un Paese molto forte, armato bene. E nondimeno un piccolo gruppo di terroristi, forse 5000 o 7000, opposti a un Paese di più di 6 milioni di persone, hanno scavato e costruito un’altra città 30-40 metri sotto terra e hanno gallerie in grado di raggiungere il territorio israeliano. Questa gente continua a sparare razzi contro di noi. Combatterli sul terreno per Israele significa una battaglia casa per casa, sarà un confronto brutale e questo diventa un vero problema. Risolvere il problema significa che dobbiamo essere molto crudeli e questo moralmente non è facile da fare. È possibile che ci siano molti morti, da entrambe le parti. Ma che cosa fare contro terroristi che hanno una città sotterranea? È un terribile dilemma».
 
Ci sono altre soluzioni?
«La proposta di Israele è di smilitarizzare Gaza, ma dubito che i terroristi accettino».
Com’è lo stato d’animo di un israeliano?
«Sono molto forti, ma naturalmente soffrono ogni volta che c’è un nuovo allarme anche se sanno che i razzi vengono intercettati. Io stesso vivo chiuso in casa. Ogni cinque minuti suonano le sirene, soprattutto sulla costa, meno a Gerusalemme».
 
Ma cosa ne pensa?
«Pensavamo che venendo qui avremmo smesso di soffrire. Venire qui aveva una logica, è il Paese in cui gli ebrei, la loro cultura e la loro fede sono nate. All’inizio c’erano solo mezzo milione di ebrei, mezzo milione di arabi e il deserto. Ma per rispondere alla domanda, come si sentono gli israeliani, c’è una sorta di solidarietà tra le persone. In tempo di pace ci sono molti litigi ma improvvisamente diventano insignificanti di fronte alla guerra».
Pensa che la guerra sia destinata a durare?
«Non sarà breve, perché Israele non può lasciare un tale arsenale vicino alla frontiera. Solo per fare un esempio, pensiamo che tredici uomini ben armati sono sbucati da un tunnel nella notte per distruggere una piccola città israeliana. Questo vuol dire che i loro tunnel si spingono molto all’interno del territorio israeliano. Sono orripilato all’idea che tutti i soldi dati ai poveri palestinesi siano finiti così, nella costruzione dei tunnel».
 
E gli altri Paesi arabi?
«Siamo molto fortunati perché Hamas è diventato un nemico dell’Egitto. Siria e Iraq hanno altri problemi. Per fortuna abbiamo fatto la pace con l’Egitto e la Giordania».

E l’America e l’Europa?
«L’America si è indebolita, o forse dopo l’Afghanistan e l’Iraq e non sono pronti a investire denaro in altre guerre. Penso abbiano capito che Israele è una roccaforte in quest’area e quindi rafforzano costantemente il loro aiuto. Gli europei vogliono mantenersi in qualche modo neutrali».

Ma non è terribile pensare che i bambini stanno morendo?
«I terroristi proteggono se stessi, non la loro popolazione. La vita umana non conta. Muori e vai in Paradiso. Pare che per loro l’aldilà sia più importante».

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