dal sito Il foglio, Paola Peduzzi
Una interessante analisi sull'astensione al voto da parte degli Usa nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2334 di venerdi 23 dicembre.
Netanyahu non avrebbe dubbi sul fatto che l’Amministrazione Obama preparasse da tempo la decisione “vergognosa” di astenersi al voto della risoluzione che condanna la politica degli insediamenti di Israele in Cisgiordania e Gerusalemme est.
“L’Amministrazione Obama ha iniziato questo processo – ha detto il premier – l’ha promosso, l’ha coordinato e ha chiesto che passasse”.
Erano 36 anni che, in seguito al veto americano, non veniva approvata all’Onu una risoluzione di condanna dei settlement, e pochi pensano che si tratti di una decisione dell’ultimo minuto. Gli Usa naturalmente negano
" Di fronte alle tante bozze di risoluzione circolate all’Onu nell’ultimo anno, i diplomatici israeliani hanno definito gli ultimi mesi di governo di Obama una “kill zone”, racconta il Wall Street Journal: con la vittoria di Donald Trump, il presidente si sarebbe sentito libero di mostrare la sua politica reale – ostile – nei confronti di Israele. Grande preoccupazione aveva creato il discorso del 4 dicembre di John Kerry, segretario di stato.
Kerry aveva definito gli insediamenti “un ostacolo alla pace”, come è scritto anche nella risoluzione 2334. L’incontro, qualche giorno dopo, del segretario di stato americano con il capo dei negoziatori palestinesi, Saeb Erekat, ha convinto la diplomazia di Israele che fosse in corso una “collusione” contro Netanyahu tra americani e palestinesi.
A guidare l’iniziativa sulla definizione di “illegalità” degli insediamenti è stato l’Egitto, membro non permanente del Consiglio di sicurezza, che aveva “messo in blu” la risoluzione – pronta per il voto – mercoledì sera. A quel punto la tentazione di astenersi da parte dell’America è risultata chiara in Israele: Netanyahu (che è anche ministro degli Esteri) ha chiamato Kerry al telefono, senza ottenere alcuna garanzia (“gli amici non se la prendono con gli amici al Consiglio di sicurezza”), e così si è rivolto al futuro presidente Trump che è intervenuto su Twitter ribadendo la necessità del veto e ha telefonato al rais egiziano, Abdel Fattah al Sisi, chiedendo e ottenendo una proroga del voto.
Ma di fronte al tentennamento dell’Egitto, Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela hanno preso in mano la risoluzione e organizzato il voto, passato con 14 voti a favore (compreso l’Egitto), zero contrari, l’astensione americana, un grande applauso e una spiegazione dell’ambasciatrice americana all’Onu, Samantha Power, del perché dell’astensione.
Il premier israeliano ieri ha detto che Israele “non mostrerà l’altra guancia” e ha convocato nel giorno di Natale gli ambasciatori di dieci dei paesi che hanno votato per la risoluzione, compreso l’ambasciatore americano Daniel Shapiro. Netanyahu ha predisposto delle misure contro quelle agenzie dell’Onu che continuano a mostrare ostilità nei confronti di Israele, e lavora per una risoluzione che fissi alcune regole per i dipendenti dell’Onu rendendoli responsabili per ogni dichiarazione che eccede il loro mandato, che incitino alla violenza o siano antisemite. La reazione di Israele non è dettata tanto dalla natura della risoluzione 2334, che non è vincolante, quanto dalle ripercussioni legali e dalla possibilità che questa svolta americana consolidi una strategia anti Israele già in atto in Europa.
Poi c’è Obama. La discordia tra il presidente e Netanyahu è leggendaria, abbiamo sentito diplomatici di lungo corso usare espressioni terribili per definire il rapporto tra i due leader; sappiamo che da tempo Washington fa pressioni su Israele per gli insediamenti. Ma un’astensione all’Onu è più di una ratifica di un rapporto deturpato, è anche più, come scrive il Wall Street Journal, di un’espressione “della petulanza di Obama”: è la dimostrazione di un’enorme “animosità”. Che trova riscontri da molte parti, in Israele e in Europa, dove si celebra – vedi il resoconto del Monde – la “fine del l’impunità diplomatica” di Israele, e del detestato premier Netanyahu"
(Paola Pedruzzi, Il Foglio)
Si profila l'ipotesi tutt'altro che irrealistica di un vero tranello sortito contro Israele, ultimo atto di un Presidente Usa che ha sempre mostrato ostilità verso Israele e il suo Governo.
L'amministrazione Obama ha sempre puntato molto sul congelamento della costruzione degli insediamenti, come fosse unico requisito necessario per la pace tra israeliani e palestinesi.
Eppure basta vedere cosa è accaduto dopo il ritiro israeliano da Gaza. La città è diventata un covo per il terrorismo di Hamas. La stessa cosa accadrebbe nella Cisgiordania. Ed è follia pensare che non sarebbe così.
Non per supponenza, ma la visione di Obama sulla questione non è affatto realistica nè condivisibile.
La mossa, preordinata o meno del 23 dicembre all'Onu, resta una vigliaccata, e verso Israele, e verso il successore alla Presidenza Usa.
Meglio farebbe l'uscente Obama a dedicarsi a scrivere biglietti di saluti, nella speranza di non ritrovarlo, come da voci percepite, quale prossimo segretario generale dell'Onu
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