lunedì 12 maggio 2014

La poesia che viene al mondo vi giunge carica di mondo - Paul Celan



Lo scrittore Paul Auster ha condensato in poche righe la sofferta biografia del poeta Paul Celan, pseudonimo di Paul Pessach Antschel: «Un ebreo nato in Romania che scriveva in tedesco anche se viveva in Francia, dove è morto suicida annegandosi nella Senna. Lui scriveva incessantemente perché il dolore e la rabbia hanno fatto diventare furiosa la sua poesia, che era una poesia ispirata dall’amarezza».
 
    Paul Antschel nasce in Romania, nel 1920, da famiglia ebraica e religiosa, l’ebraismo hassidico lascia in lui un particolarissimo rapporto con il testo scritto, per Celan (cognome che si darà dopo la guerra) l’ebraismo è cultura, tradizione, motivo di esilio e, ben presto, anche memoria dei morti. I suoi genitori moriranno in campo di concentramento, lui stesso vi sarà deportato.

Ma Celan contraddice la tesi adorniana secondo cui dopo Auschwitz non sarebbe stata piu’ possibile la poesia.

    Paul scrive invece e vuole essere letto nel modo piu’ personale. Scriveva infatti Celan “ io non faccio letteratura… non c’è una sola riga della mia poesia che non abbia a che fare con la mia esistenza

    Il nome ebraico di Paul è Pessach, cioè Pasqua, o ad essere più precisi «passaggio», perché tale è la traduzione letterale di questo termine. In un giorno imprecisato verso la fine di aprile del 1970, Paul Celan si buttò nella Senna. La Pasqua ebraica - Pessach - cadeva in quei giorni, come a siglare l’appartenenza a un destino che il nome porta inevitabilmente con sé. Perché è così vero che la vita di Celan fu un passaggio, un transito da un dolore a una nostalgia, da una perdita a un ricordo. (elena lowenthal)

    Celan è un maestro del linguaggio ed è dunque terribile doverlo leggere solo in traduzione, che per quanto fedele e capace mai potra’ darci l’esatta immagine sensazione e profondità del testo originale, uno dei piu’ gradi poeti del novecento

    Non mi dilungo oltre, ecco la bellisima lirica  di Celan

    CORONA (da Papavero e memoria)

    Dalla mano l’autunno mi bruca una foglia:

    è sua, siamo amici.

    Facciamo sgusciare il tempo via dalle noci e gli

    insegniamo ad andare:

    il tempo si dirige all’indietro, nei gusci.

    Nello specchio è domenica,

    nel sogno potremo dormire,

    la bocca in verità conversa.

    Il mio occhio corre giù, fino al grembo

    dell’amata:

    ci guardiamo a vicenda,

    ci diciamo oscure parole,

    ci amiamo l’un l’altra come papavero e memoria,

    dormiamo come vino nelle conchiglie,

    come il mare nel chiaro-sangue di luna.

    Abbracciati, stiamo alla finestra, ci vedono

    su dalla strada:

    è tempo, che si sappia!

    E’ tempo, che la pietra si disponga a fiorire,

    che l’ansia un cuore possa colpire.

    E’ tempo, che sia tempo.

    E’ tempo.

    ( poesia dedicata alla propria amata, ove ella sarebbe il papavero e lui la memoria, a contrapporre la dolcezza di lei all’amara e dura memoria di lui)

E come non citare  Fuga di Morte, uno dei massimi testi sulla Shoah. 

Nero latte dell'alba lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell'aria là non si giace stretti
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capelli d'oro Margarete
lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle e fischia ai suoi mastini

fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda ora suonate alla danza.

Nero latte dell'alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capelli d'oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell'aria là non si giace stretti
Lui grida vangate più a fondo il terreno voi e voi cantate e suonate
impugna il ferro alla cintura e lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
spingete più a fondo le vanghe voi e voi continuate a suonare alla danza

Nero latte dell'alba ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d'oro Margarete
i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca con i serpenti

Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco
lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell'aria
e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti

Nero latte dell'alba ti beviamo la notte
ti beviamo a mezzogiorno la morte è un maestro tedesco
ti beviamo la sera e la mattina beviamo e beviamo
la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso
nella casa abita un uomo i tuoi capelli d'oro Margarete
aizza i suoi mastini contro di noi ci regala una tomba nell'aria
gioca con i serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

I tuoi capelli d'oro Margarete
I tuoi capelli di cenere Sulamith.

 Nel leggerla si è presi da un senso di sgomento per l’incapacità di cogliere il “messaggio nella bottiglia” che il poeta ebreo-romeno vi ha messo dentro, si direbbe a viva forza e con disperazione lucida.
A proposito della poesia, Celan, che non amava spiegare le sue opere, ebbe a dire che questa poesia  tratta di un dialogo immaginario fra un se stesso alla deriva ed un immaginario ascoltatore ideale, quanto forse impossibile da reperire.
 Celan, nato nella Bucovina settentrionale, occupata dai tedeschi nel 1942 (poi passata all’URSS), riuscì a sopravviver arrangiandosi a sopravvivere con lavori di fortuna nei campi romeni. Furono invece catturati il padre e la madre (l’uno morì di tifo, l’altra fu fucilata in un campo ucraino), come ricordato sopra.

Il 27 giugno 1942, alla vigilia della seconda ondata dei rastrellamenti nazisti, il ventiduenne Paul cercò invano di convincere i genitori a rifugiarsi con lui in un buon nascondiglio. Dopo aver litigato col padre, passò la notte fuori di casa. Al ritorno trovò la porta sbarrata. Non rivide mai più i genitori. Era stata proprio l’amatissima madre Fritzi a trasmettere al figlio l’amore per la lingua e la letteratura tedesca.
Molti critici si sono interrogati sulla scelta di scrivere in tedesco, la lingua dei nazisti, degli assassini dei suoi genitori. Soprattutto perché Celan parlava e scriveva correttamente in almeno sette lingue (rumeno, tedesco, ebraico, inglese, francese, russo, italiano).
 La scelta di scrivere nella Muttersprache, nella doppia accezione di lingua materna e lingua della madre, è vitale. Solo in questa lingua il poeta può rincontrare la madre e farsi carico della sua «incontestabile testimonianza».


Si sono confrontati con la poesia di Paul Celan interpreti eccellenti come il filosofo della Scuola di Francoforte T. W. Adorno, il filosofo Emmanuel Lévinas, il decostruzionista Jacques Derrida, Gadamer, e soprattutto Martin Heidegger.
L’incontro con Heidegger rappresenta un momento particolarmente significativo nel percorso celaniano: Celan apprezzava la filosofia di Heidegger ma non poteva accettare che il grande filosofo avesse appoggiato il nazismo. Per questo quando si presentò l’occasione di un incontro, il poeta non volle mancare. L’incontro avvenne nella baita del filosofo, dopo una lettura di poesie a Friburgo, nel 1967, lo stesso anno della pubblicazione di Atemwende. Celan non poteva assolutamente accettare il pesante silenzio di Heidegger circa il suo precedente appoggio al nazismo: un suo lettore così insigne aveva tenuto sulla giacca la spilletta nera con la croce uncinata. Heidegger, dal canto suo, non poteva rinnegare il suo pensiero pronunciando una secca condanna alle sue precedenti posizioni. Il confronto-scontro si gioca sulla mancata distinzione, in entrambi, tra pensiero e vita. Vita e pensiero erano per loro inscindibili, uniti indissolubilmente nei loro scritti. Da qui il fermo rifiuto alla richiesta di immortalare con una foto quello storico incontro poi eternizzato da Celan nella poesia "Todtnauberg", vera e propria trascrizione in versi dell’evento. Si trattava di un’amara coerenza, con gli altri e con se stessi. Coerenza soprattutto con i propri scritti.

 S’incontreranno nuovamente, nel 1970, poco prima del suicidio, in quell’occasione Heidegger dirà: «Celan è malato – e non esiste cura».


Nell'ottobre del 1969 Celan compie  un viaggio a Gerusalemme. Da quei diciassette giorni, Celan trasse una serie di poesie, pubblicate postume, tra esse spicca "Denk dir", che inizia: 

Pensa: il soldato di Masada, impaludato, si procura patria, nel modo
che mai potrà essergli tolto 
contro
ogni spina nel reticolato

.Un’ideale continuità tra la resistenza degli ebrei alla conquista romana nel 70 d.C. e quella patria, Israele, che appariva finalmente una conquista reale. 


Nemmeno un anno dopo, presumibilmente il 20 aprile del 1970, Paul Celan si suicida gettandosi dal ponte Mirabeau nelle acque della Senna. 

Il cadavere venne ritrovato da un pescatore solo il primo maggio. 

In una poesia, Rosa di nessuno, aveva consegnato al figlio Eric una vitale eredità di speranza: 
Ho tagliato bambù: 
 per te, figlio mio. 
 Ho vissuto. 
 Codesta, che domani sarà 
 altrove, capanna, ora 
 regge. 
 Non diedi mano a costruirla: tu 
 non sai in quali 
 vasi io misi, anni addietro, 
 la sabbia che mi stava intorno, 
 per ordine e decreto. La tua 
 nasce libera – libera 
 rimane. 
 La canna, che prende piede qui, domani 
 s’innalza pur sempre, ovunque 
 l’anima ti possa spingere fuori 
 d’ogni vincolo

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