Il
Dottor Ido Zelkovitz, 36 anni, è uno
degli esperti di medioriente più intervistati sia dai media israeliani che da
quelli internazionali dai quali è considerato uno sorta di Guru del settore.
Nonostante la giovane età ha un curriculum di tutto rispetto. Dopo aver
maturato esperienza sia presso l’Università del Minnesota che presso la Georg
August Universität di Göttingen in Germania è diventato docente di storia
del Medio Oriente all’Università di Haifa.
È specializzato nell’analisi
della politica mediorientale ed è ricercatore presso il centro EZRI per gli
studi sull’Iran e Golfo Persico con particolare attenzione alla politica e
società palestinese.
Il confronto fra l’Arabia Saudita e l’Iran sta tenendo
con il fiato sospeso, cosa dobbiamo aspettarci?
È
solo una rottura diplomatica. Le due parti mostrano i muscoli perché l’egemonia
sul Golfo Persico è importante per poter essere alla base di questa ‘guerra
fredda’ ma non al punto da arrivare a uno scontro armato. Nel caso le tensioni
si potrebbero ripercuotere anche sul prezzo del petrolio al momento piuttosto
basso, creando disquilibri che potrebbero portare le nazioni occidentali ad
acquistarlo altrove. Nonostante ciò nessuna delle parti può cedere
sull’egemonia nel golfo. Si tratta di politica impregnata di motivazioni
teologiche, di rispetto e potere nel mondo islamico in generale e in quello
arabo in particolare. Credo che alla fine sarà l’Arabia Saudita che continuerà
ad essere il faro dell’Islam, le altre nazioni sunnite che si affacciano sul
golfo, infatti, in queste ore stanno interrompendo le relazioni
diplomatiche con l’Iran.
Eppure confronto armato fra le Iran e Arabia Saudita
lo vediamo nello Yemen
Anche
quei piccoli scontri a fuoco, saltuari bombardamenti delle forze alleate di
Teheran o come abbiamo appena visto l’esecuzione dell’Iman Sciita sono azioni
che fanno parte della ‘politica dei muscoli’, non possiamo catalogarle come
guerra aperta, mancano di intensità e di continuità per considerarle tali.
Perché il mondo arabo non è intervenuto in aiuto della
popolazione civile nella guerra siriana?
Non
è cosa nuova, il sogno panarabo non si è mai realizzato.
Ha seguito strade diverse da quelle preventivate nel 1945 con la costituzione della Lega Araba che proteggendo interessi di singole nazioni senza una visione collettiva ha fatto naufragare gli intenti con i quali era stata creata.
Non è vero che le nazioni arabe non intervengono nella guerra civile siriana, lo fanno eccome, ma seguendo interessi che non salvaguardano la popolazione civile. I sauditi finanziano una parte dei rivoltosi a causa dell’acredine fra Alawiti e Sunniti, i vertici di Hamas non potendo prendere posizione, si sono improvvisamente trovati fra due fuochi, hanno abbandonato la Siria che li aveva protetti e l’Iran, direttamente o per mezzo di Hetzbollah, combatte al fianco di Assad.
Tutto questo senza che nessuno pensi alle sofferenze della popolazione civile.
Ha seguito strade diverse da quelle preventivate nel 1945 con la costituzione della Lega Araba che proteggendo interessi di singole nazioni senza una visione collettiva ha fatto naufragare gli intenti con i quali era stata creata.
Non è vero che le nazioni arabe non intervengono nella guerra civile siriana, lo fanno eccome, ma seguendo interessi che non salvaguardano la popolazione civile. I sauditi finanziano una parte dei rivoltosi a causa dell’acredine fra Alawiti e Sunniti, i vertici di Hamas non potendo prendere posizione, si sono improvvisamente trovati fra due fuochi, hanno abbandonato la Siria che li aveva protetti e l’Iran, direttamente o per mezzo di Hetzbollah, combatte al fianco di Assad.
Tutto questo senza che nessuno pensi alle sofferenze della popolazione civile.
La Russia però è ora presente in Siria
La
Siria è stata una base operativa russa fin dai tempi dell’Unione Sovietica, sia
dal punto di vista logistico che di intelligence.
L’alleanza con la famiglia Assad ha una storia lunga e non si può colpire il dittatore siriano senza ferire l’orso russo.
Il meglio delle forze russe è impegnato a mantenere il potere nelle mani di Assad perché una sua caduta sarebbe per Mosca una sconfitta. C’è anche un messaggio chiaro all’Europa e a Obama: la Russia è tornata ad essere una potenza militare ed economica con la quale bisogna fare i conti, tutto questo è dimostrato dallo spiegamento dei vettori S400 e, anche se non ce n’era bisogno visto che gli stessi target potevano essere colpiti in maniera più semplice, dall’uso di missili a lunga gittata che dal Mar Caspio hanno sorvolato l’Iran e l’Iraq prima di distruggere obbiettivi logistici delle fazioni anti Assad. Anche in questo caso si è trattato di una dimostrazione di forza e nel contempo sono stati provati nuovi armamenti, quelli che caratterizzeranno gli equilibri militari nei prossimi anni.
L’alleanza con la famiglia Assad ha una storia lunga e non si può colpire il dittatore siriano senza ferire l’orso russo.
Il meglio delle forze russe è impegnato a mantenere il potere nelle mani di Assad perché una sua caduta sarebbe per Mosca una sconfitta. C’è anche un messaggio chiaro all’Europa e a Obama: la Russia è tornata ad essere una potenza militare ed economica con la quale bisogna fare i conti, tutto questo è dimostrato dallo spiegamento dei vettori S400 e, anche se non ce n’era bisogno visto che gli stessi target potevano essere colpiti in maniera più semplice, dall’uso di missili a lunga gittata che dal Mar Caspio hanno sorvolato l’Iran e l’Iraq prima di distruggere obbiettivi logistici delle fazioni anti Assad. Anche in questo caso si è trattato di una dimostrazione di forza e nel contempo sono stati provati nuovi armamenti, quelli che caratterizzeranno gli equilibri militari nei prossimi anni.
Nonostante questo Israele collabora con la Russia
Non
è collaborazione, si tratta di accordi per evitare scontri fra le forze
presenti sul teatro. Mosca è sempre stata alleata dei nostri nemici e un
avvicinamento strategico ai danni degli USA sarebbe un errore che pagheremmo
caro per generazioni intere. Putin non ha alcun sentimento nei confronti degli
alleati, e nonostante i problemi con l’attuale amministrazione americana che
avranno strascichi importanti nel tempo, sono troppi gli interessi israeliani
negli USA e troppi quelli statunitensi in Israele per pensare a un cambio di
rotta repentino della politica estera delle due nazioni.
E la Turchia di Erdogan in questo scenario?
Se
è all’abbattimento del jet russo che si riferisce l’azione non è avvenuta su
indicazioni NATO, si è trattato di difesa territoriale.
Per 10 secondi di sorvolo?
Se
un aereo russo avesse sorvolato lo spazio aereo israeliano sarebbe stato
abbattuto?
Non dopo 10 secondi
...e
io non ne sono convinto. Dal punto di vista dei militari questi sono ordini
preventivi a cui si obbedisce senza esitare. Fra Turchia e Russia ci sono anni
di attrito che non hanno mai avuto sfogo e anche l’abbattimento è stato un
messaggio chiaro che Putin ha mal digerito, considerando poi che gli aerei
russi bombardano in Siria gli alleati della Turchia è facile trarre
conclusioni.
Sulla questione israelo – palestinese le chiedo: a
Ramallah c’è Abu Mazen che è presidente dal 2005 per un mandato di 4 anni,
siamo nel 2016 e ancora non si parla di elezioni presidenziali.
E
non se ne parlerà per parecchio tempo ancora.
Alla fine del mandato, nel 2009,
Abu Mazen non poté dimettersi a causa del colpo di stato di Hamas nella
Striscia di Gaza. Per andare alle elezioni presidenziali i palestinesi
dovrebbero raggiungere un accordo per un governo di unità nazionale, cosa al
momento possibile solo sulla carta ma non ‘di fatto’.
Abu Mazen, memore delle
elezioni del 2006, con contrasti interni a ogni livello non ha interesse ad
abbreviare i tempi. Il malcontento nella società palestinese, e non solo verso
Israele, è palese e all’attuale classe dirigente serve la sicurezza di avere la
maggioranza dei voti. È chiaro poi che non c’è al momento qualcuno che
sostituendo Abu Mazen possa aprire reali trattative di pace con Israele,
bisognerà aspettare ancora qualche anno prima che venga alla luce quel nuovo
personaggio che abbia il carisma per traghettare i palestinesi dalla situazione
attuale verso una sorta di democrazia occidentalizzata.
Nel frattempo Abu Mazen
terrà il potere per tutto il tempo che gli sarà possibile e quando sarà costretto,
non dimentichiamoci che ha circa 80 anni, lo passerà a qualcuno di sua fiducia
evitando le urne.
Le elezioni ci saranno solo dopo i cambiamenti che la
popolazione palestinese chiede a gran voce e solo dopo che si sarà calmata la
rabbia fin qui accumulata. Quanto sia nervosa la società palestinese lo si
capisce da un dato fondamentale, Marwan Barghouti, in carcere in Israele dove
sta scontando 5 ergastoli come mandante di attentati terroristici, è il più
popolare fra i palestinesi al punto che tutti i sondaggi lo vedono diventare
presidente in ipotetiche elezioni.
Israele chiaramente non lo farà uscire dal
carcere molto presto, sono troppe le colpe che deve espiare, e questo, ne sono
sicuro, a Ramallah non dispiace a nessuno, anche per loro è una minaccia
in meno all’orizzonte.
Da parte israeliana la situazione non è migliore perché
il premier Netanyahu, che conta su una maggioranza ristretta, sa che non può
avventurarsi in ulteriori concessioni senza far collassare il suo governo, cosa
che probabilmente riporterebbe gli israeliani alle urne. Le continue
aggressioni dell’Intifada dei coltelli hanno poi esasperato la popolazione
civile israeliana al punto che gli esiti di un’ipotetica tornata elettorale
sarebbero imprevedibili. Questo è il motivo per cui fino a oggi anche il
governo israeliano non ha fatto molto per riavviare le trattative ormai
impantanate da troppo tempo nonostante le pressioni internazionali. Ma non è
tutto, nel momento in cui le trattative di pace dovessero riprendere Israele deve
presentarsi con un programma preciso dove sono chiari i limiti delle eventuali
concessioni e altrettanto chiare le richieste di sicurezza e di come questa
sicurezza debba essere garantita. Al contrario gli interessi dell’altra parte
potrebbero rivolgersi contro e nessun governo israeliano, non importa di che
colore politico, può più permettersi errori né di carattere politico, né di
carattere militare né, e soprattutto, di carattere strategico.
In base alla sua esperienza dopo quasi otto anni di
amministrazione Obama il medioriente è più sicuro, meno sicuro com’è
esattamente?
Il
medioriente di oggi è una regione in rapido cambiamento, cambiamento che viene
anche dall’interno non solo dalle pressioni delle grandi potenze. Se noi
osserviamo la politica portata avanti dall’amministrazione Obama negli ultimi
otto anni vediamo che due nazioni, Iraq e Siria sono crollate, non includo la
Libia che strategicamente fa parte del nord Africa. Per quello che riguarda
l’Iraq la responsabilità è diretta della politica della Casa Bianca che ha
adottato una strategia che si è rivelata fallimentare.
C’è comunque un problema
di base, la costruzione di una democrazia liberale, bene assoluto per
l’occidente, non è la medicina per il malato mediorientale.
Per creare dal nulla
una democrazia serve una nazione stabile per un certo numero di anni che
lentamente, con riforme politiche liberali e con una politica sociale, porti
benessere alla popolazione. Solo seguendo questa strada si arriva a creare una
democrazia compiuta.
Perché questo accada in medioriente servono almeno un
numero di anni pari a quelli di una generazione considerata dal punto di vista
sociologico e cioè dai 25 ai 40 anni. Queste cose purtroppo qui non accadono.
Il desiderio dell’occidente di rovesciare regimi dittatoriali senza avere una
strategia che avesse pronto un cambio al potere, come in Iraq o Libia ha creato
situazioni di anarchia totale con una regressione che ha lasciato il posto
all’idea del califfato islamico che ha avuto gioco facile in zone dove c’era un
vuoto di potere. È successo in Iraq, sta succedendo in Siria e probabilmente
accadrà anche in Libia. Se guardiamo alla politica estera americana Obama non
ha molti successi di cui vantarsi, anche se dal punto di vista degli americani
lui era l’uomo che doveva far uscire l’esercito americano dall’Iraq, queste
erano le promesse in campagna elettorale e le ha mantenute. Gli Usa avrebbero
dovuto lasciare il medioriente solo dopo aver messo al potere una classe
politica capace di governare, ma se dopo il crollo della Siria e dell’Iraq i
militari americani saranno costretti a tornare in medioriente la sconfitta
politica sarebbe impressionante. Non dobbiamo dimenticare però che Obama è
stato eletto per risolvere i problemi economici americani e non per portare la
pace in medioriente, la nostra regione non era in testa ai suoi programmi e per
quello che riguarda l’economia americana ha ottenuto discreti successi.
Nel vuoto di potere che si è però creato in Iraq
abbiamo visto il sorgere di ISIS (DAESH) che oggi in qualche modo impressiona
il mondo intero
Non
è esattamente così, è un po’ più complicato. Dopo l’uscita delle forze armate
americane si è creata una nazione, o meglio rinasce la nazione dove gli eletti
sono sciiti e anche la riforma in seno alle forze armate irachene ha cambiato
le regole del gioco.
Durante la dittatura di Saddam Hussein l’esercito iracheno
era comandato da ufficiali sunniti mentre ora anche all’interno dell’esercito i
posti di comando sono in mano agli sciiti. Molti ufficiali e soldati dell’era
Saddam dopo la ricostruzione dell’esercito iracheno si sono ritrovati fuori dai
giochi e, in qualche modo, hanno dovuto reinventarsi, questa è la cornice
dentro la quale incomincia ad esserci una nazione islamica nel nord dell’Iraq.
Da qui cominciano i veri problemi fra le forze sunnite e quelle sciite ma a
distanza di tempo siamo anche testimoni di un fenomeno che in occidente viene
sottovalutato, e cioè che sono molti gli affiliati a ISIS che cercano di
rientrare nei territori dello stato iracheno con la speranza di riacquistare la
cittadinanza.
Quanto è pericoloso ISIS oggi?
Pericoloso
per chi, e soprattutto dove?
Pericoloso in generale, in medioriente o anche in
Europa
Io
credo che bisogna osservare ISIS da punti di vista diversi, innanzitutto le
varie sigle che si sono succedute fino allo Stato Islamico, sono state la
cartina di tornasole dei cambiamenti interni al movimento che anche se prende
vita nei posti dove il vuoto di potere era evidente ha nel suo programma
ideologico l’allargamento delle zone di influenza sulle quali poi imporre le
regole della Sharia.
Lo Stato Islamico diventa estremamente pericoloso per
coloro che vivendo in zone cadute sotto il dominio del Califfo non vogliono
vivere secondo queste regole. Abbiamo fino ad oggi visto scorribande, anche
pesanti ed estremamente violente, dei guerrieri dello Stato Islamico,
scorribande che sono avvenute in zone dove non c’era alcuna resistenza armata o
se c’era era molto debole. Questo ha creato il mito di ISIS.
Non abbiamo però
ancora visto gli stessi guerrieri confrontarsi con nazioni militarmente
avanzate con eserciti regolari, sono convinto che anche dal punto di vista
strategico non sono in grado di reggere in confronto. Fino ad oggi hanno fatto
la ‘voce grossa’ solo in zone dove gli stati erano assenti e sono stati
bravissimi ad usare i media per far passare il loro messaggio di terrore,
perché creare terrore nelle nostre menti è uno degli obbiettivi di questo Stato
o organizzazione islamica.
Sta dicendo che tutte le immagini che abbiamo visto
negli ultimi tempi con teste che rotolano o persone bruciate vive è solo una
questione di propaganda?
C’è
tanta propaganda perché la via con la quale lo Stato Islamico riesce a
sottomettere le persone è proprio il terrore del giorno per giorno, ci sono due
tipi di persone che si associano a ISIS, quelli che lo fanno perché ci credono,
come ad esempio i giovani che arrivano dall’Europa e che lo fanno perché
convertiti all’estremismo islamico o persone che vivono in zone finite sotto il
controllo di ISIS e che per sopravvivere sono costretti a fare buon viso a
cattivo gioco nell’attesa che lo stato, Siria o Iraq a seconda dei territori,
mandi l’esercito per ristabilire l’ordine e riprendere il controllo. Non
bisogna neanche dimenticare che il terrore è un’arma di inibizione nei
confronti di coloro che vivono in territori vicini a quelli già sotto controllo
di ISIS e che potrebbero cadere nelle loro mani. Si tratta di povera gente che
vive in piccoli centri, gente consapevole del fatto che nel momento in cui i
furgoni armati arrivano la loro vita deve cambiare altrimenti loro stessi
diventeranno i tragici protagonisti dei nuovi filmati. Terrore che semina nuovo
terrore è in pratica il sistema di controllo attuato in quelle aree.
Oggi come
oggi ISIS non è pericolosa per il medioriente perché come dicevo prima la sua
logistica e le sue dotazioni non possono permetterle un confronto armato con
degli eserciti strutturati.
Come già detto questa organizzazione che si fa
chiamare ‘Stato Islamico’ non può reggere il confronto con la Giordania, non lo
può reggere con l’Egitto e meno che mai nei confronti di Israele, e questo non
lo può fare da nessun punto di vista.
E la parte di ISIS che si trova oggi in Libia e che ha
già cominciato a minacciare l’Italia?
ISIS
può nascere spontaneamente in ogni posto, basta un matto qualsiasi, singolo o
in gruppo, che si associa alla sua ideologia o ai suoi fini e che porta a
termine un attentato terroristico a suo nome facendo girare il video nei
mainstream ha già conquistato la prima pagina dei giornali e crea la falsa
sensazione che lo Stato Islamico si trovi in ogni posto mentre la realtà,
fortunatamente è diversa. Si crea così una situazione solo in minima parte
reale ma che per vie virtuali sembra essere immensa.
Lo stesso Stato Islamico
prima ancora di essere una nazione con esercito, polizia, governo e istituti
statali di ogni tipo è attualmente una organizzazione reale con uno Stato in
massima parte virtuale.
In Europa i governi stanno prendendo coscienza che ci
sono molti giovani, convertiti da altre religioni o musulmani di seconda o
terza generazione, che dopo aver ricevuto addestramento militare ritornano a
casa. Quanto possono essere pericolose queste persone?
Molto,
molto pericolose.
Questi giovani non tornano con il solo addestramento alle
armi o agli esplosivi, tornano dopo un pesante lavaggio del cervello di tipo
ideologico, tornano dopo aver preso parte a una sanguinosa guerra civile, e
tutto questo influenza in maniera importante i pensieri e il modo di essere di
questi singoli che sono potenzialmente delle ‘bombe a orologeria’.
L’Europa
deve cambiare l’approccio con queste novità e se non trova il modo per
confrontarsi con tutto questo instaurando una politica nei confronti di questi
giovani che sono cittadini europei, potrebbe ritrovarsi in una situazione di
attentati terroristici a raffica portati proprio dai suoi cittadini.
È a mio
avviso necessario che le autorità europee ripensino nuovamente a tutte le
misure di prevenzione perché il vecchio continente, che è un simbolo della
democrazia liberale dove la libertà di parola e di pensiero è garantita in ogni
nazione che la compone, può essere un obbiettivo preferenziale, e lo è già
stato a Parigi, Londra e Madrid.
Le autorità europee devono trovare una via che
mantenendo le libertà primarie possa permettere un’azione di intelligence tale
da prevenire ogni possibile attacco, un’azione di intelligence che però deve
essere poi effettivamente coadiuvata da decise prese di posizioni politiche. Il
fatto che alcuni dei terroristi che hanno portato a termine l’attentato a
Parigi fossero tornati in Francia usando dei passaporti falsi o che girassero
con documenti contraffatti è un segno tangibile che c’è del lavoro da fare e
che questo lavoro va fatto subito.
Il profilo del terrorista è una delle cose
più dinamiche che esistano, in Israele durante la seconda Intifada i profili
cambiavano nel giro di pochissimo tempo. In un certo momento dicevano che il
terrorista potenziale era uomo intorno ai venti anni e, improvvisamente, a
farsi esplodere sono state donne intorno ai 35 anni di età. La guerra al
terrorismo chiede purtroppo un cambiamento nella dialettica a cui siamo
abituati... cosa che in un mondo statico e decisamente difficile da attuare.
Michael Sfaradi
giornalista free lance, scrittore e reporter di guerra
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