Beaufort è un castello eretto dai crociati sulle alture del Libano meridionale. Nel 1982 diventa un avamposto dell'esercito israeliano, che lo tiene fino al 2000. Proprio nell'ultimo anno dell'occupazione arriva a Beaufort Erez, un ufficiale poco più che ventenne, durissimo ma capace di stabilire un forte legame con i suoi soldati, deciso a combattere per la sua patria. Ma a Beaufort non si combatte: si sta, come in una trincea della Grande guerra, a prendere colpi di mortaio sparati da un nemico invisibile, Hezbollah. E mentre aspettano l'ordine di abbandonare il castello, i soldati continuano a morire, senza scopo.
Ron Leshem non c’è mai stato in Libano. Non ha mai perso un amico durante quella guerra. Eppure racconta, descrive nel suo primo libro, attraverso lo sguardo incattivito di Erez, la condizione dei soldati israeliani nell’ultimo avamposto rimasto sulle alture del Libano meridionale dopo l’occupazione del 1982: Il Beaufort.
I soldati che Erez si trova a comandare sono poco più che ventenni. Costretti a condividere paure impossibili da esprimere, loro aspettano il ritiro imminente, assediati. Alcuni crepano sotto i colpi di mortaio di Hezbollah, che in silenzio ascolta il respiro di Tsahal, prepara l’attacco finale, costringe il nemico a starsene rintanato senza mettere il naso fuori dal bunker. Ai soldati non resta altro che sperare e sopportare il tremendo destino, contando i granelli di sabbia che scivolano giù da una clessidra di piombo.
Nella postfazione intitolata “fra realtà ed immaginazione” apprendiamo che l’autore, nell’autunno del 2000, incontrò per puro caso Rotem Yair, un ufficiale della brigata Ghivati. E’ grazie a questo incontro che conosce il Libano, raccontato da un uomo che ha vissuto lassù al Beaufort molte stagioni con il suo battaglione. Dai racconti del soldato e dopo altri incontri, Ron Leshem scopre un mondo a lui sconosciuto un attimo prima. Proprio lui, un tipico imboscato da ufficio di Tel Aviv, inesperto, decide di raccontarlo spinto da un impulso creativo eccezionale, ispirato dalle storie di Rotem, che il Libano deve averlo visto bene. Non si tratta di un documento storico, è molto di più.
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