sabato 12 aprile 2014

La legge del ritorno



Ogni ebreo ha diritto di stabilirsi in Israele come immigrato”. Più chiaro e semplice di così, l’articolo 1 della Legge del Ritorno non potrebbe essere. Eppure si tratta di una delle leggi più discusse e controverse dello Stato d’Israele.

Approvata nel 1950, integrata nel 1954 e di nuovo nel 1970 con una clausola non irrilevante (“questo diritto riguarda anche il figlio e il nipote di un ebreo, il coniuge di un ebreo, il coniuge di un figlio o di un nipote di un ebreo”), la Legge del Ritorno costituisce, “l’espressione più concreta della definizione dello Stato in quanto Stato ebraico, e da veste giuridica all’idea centrale del sionismo ”.
Il principio è questo in poche parole: se sei abbastanza ebreo da essere stato o da poter essere perseguitato per questo, se hai un’ascendenza ebraica o se ti sei convertito, allora lo sei abbastanza da poter essere accolto come cittadino d’Israele.

Questa legge rappresenta l’espressione del legame tra il popolo ebraico e la sua patria. Gli ebrei tornanti in Israele sono considerati come parte del popolo che in passato è stato allontanato da Israele, e che sta ora tornando al proprio paese. Nel merito della legge, è definito ebreo “una persona nata da madre ebrea, o che si è convertito successivamente all’ebraismo, e non è appartenente a un’altra religione.”

“Nella coscienza collettiva d’Israele è la giustificazione stessa storico-politica e soprattutto morale dell’esistenza dello Stato d’Israele, la sua ragion d’essere. Quando nel 1948 fu fondato lo Stato degli ebrei, esso compì  contemporaneamente un gesto di egoismo, come quello di ogni nazione
allorquando si definisce e si conchiude; e di altruismo inedito, rinunciando a una parte della sua sovranità nazionale, appunto, con la promessa di essere uno Stato non solo dei suoi abitanti, ma di tutti gli ebrei del mondo”.
(Fiamma Nirenstein 5.10.1994)

Si capisce bene come, di fronte al consesso internazionale intero, questa specialità d’Israele abbia costituito un continuo puzzle, un memento, un modello etico per quanto tante volte contraddetto dalle vicende storiche e dallo scontro israelo-palestinese. La solidarietà , il rischio, l’etica laica, il senso del destino, la misteriosità stessa della continuità del popolo ebraico, sono stati dal ‘48 a oggi tutti contenuti nello scrigno del sionismo.
In base agli accordi tra il Governo d’Israele e l’Agenzia Ebraica, quest’ultima si occupa dell’immigrazione (Aliyà) in Israele: controllando gli aspiranti, fornendo consulenza e assistenza, provvedendo all’accoglienza e all’accesso nei centri provvisori di immigrazione, fornendo contatti per posti di studio, lavoro, etc., facilitandone quindi l’assorbimento. Un incaricato dell’Agenzia Ebraica che
segue la richiesta d’immigrazione di una persona, trasferisce la domanda, accompagnata dalle sue referenze scritte indirizzate a un rappresentante ufficiale dello Stato d’Israele.
Spesso chi attacca Israele tacciandolo di discriminazione, lo fa anche per via di questa legge, come se solo ad un ebreo fosse possibile divenire cittadino di Israele. Ma non è così, poiché la legge del Ritorno non impedisce a chi non sia ebreo di diventare cittadino, questi infatti lo potrà divenire in base ai processi di naturalizzazione previsti dalle leggi del 52 “sull’ingresso in Israele” e “sulla
cittadinanza”, del tutto simili a quelle in vigore in altri paesi democratici.
Questione che è strettamente legata all’altro nodo controverso della legge, riassumibile nell’eterna domanda: “chi è ebreo?”.
Emendamenti e giurisprudenza hanno esteso l’applicabilità della Legge del Ritorno sino a coprire praticamente qualunque individuo che verrebbe perseguitato come “ebreo” dall’antisemitismo di tipo nazista. Come potrebbe essere altrimenti, notano i difensori della legge, se Israele vuole essere
davvero il rifugio che allora mancò tragicamente? Come si potrebbe sopportare l’esistenza (in teoria, ma non solo: si pensi al caso dei Falash Mura etiopi) di una persona in pericolo perché ebrea, ma non accolta in Israele in quanto non ebrea?
La questione è ulteriormente complicata dal fatto che il rabbinato israeliano ortodosso si attiene alla ben più restrittiva definizione halachica di ebreo. Nel 2002 la Corte Suprema ha stabilito per la prima volta che l’anagrafe israeliana registri come ebrei anche i convertiti Conservative o Reform: una sentenza che non concerne direttamente la Legge del Ritorno, ma la cui motivazione
(“Israele non è il paese di una comunità ebraica, ma del popolo ebraico, che comprende diverse denominazioni, attive sia dentro che fuori Israele”) sembra confermare quell’impegno a “spalancare le porte della patria a ogni ebreo”, senza eccezioni, evocato sessant’anni fa dalla Dichiarazione d’Indipendenza.

Il diritto viene esteso anche al coniuge del cittadino o della cittadina ebrea, anche se questo non è a sua volta ebreo. La legge è sempre stata applicata nel caso di matrimoni eterosessuali, e nel 2011, a fronte di richiesta di un immigrato ebreo statunitense, il Ministero degli Interni ha accolto la richiesta di cittadinanza del marito non ebreo nonostante si trattasse di un matrimonio tra persone dello stesso sesso.
I nuovi immigrati hanno diritto ad un considerevole contributo governativo attraverso
sovvenzioni dirette, reddito assicurazione, assistenza abitativa, occupazione e centri Ulpan per imparare l'ebraico.
Ci sono numerose opzioni di “assorbimento” per i nuovi immigrati, rendendo semplici i loro primi passi in Israele. Vi sono poi sforzi per immigrazioni di massa e nel corso degli anni in Israele si sono avute ondate di immigrati. A metà degli anni '50, circa 170mila immigrati giungono in Israele da nord Africa e Romania, nei primi anni '60 altri 180mila arrivano dal nord Africa, e negli anni '90 900mila immigrati arrivano dall'ex Unione Sovietica ed altri 60mila dall'Etiopia (ci si ricorderà della favolosa Operazione Salomone!)

http://www.gov.il/FirstGov/TopNavEng/EngSituations/ESNewImmigrantsGuide

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