(Luzhky,
7 gennaio 1858 – Gerusalemme, 21 dicembre 1922)
Personaggi di Israele... vi chiederete come mai iniziare da Ben Yehuda, che non ha neppure visto
la nascita dello stato di Israele, essendo morto nel 1922, che non è
stato un politico, non un combattente.. ma invece un giornalista, Ben
Yehuda era un “semplice” giornalista.
Ben
Yehuda è nato in Russia, oggi Bieloriussia, di famiglia ebraica, e
la sua influenza per il futuro Stato Ebraico è stata così grande e
così basilare che non esiste città in Israele senza una via, una
strada, una piazza, un qualcosa ad Egli dedicata. Piu’ di Herzl
per esempio, che pure è stato padre del sionismo, padre cioè di
quel movimento che ha portato alla fondazione della Nazione.
Eliezer
Ben Yehuda, nato Eliezer Isaac PerelmanElianov, a Luzhky (Vilna
allora Russia, oggi Bierlorussia) come la maggior parte dei ragazzi
ebrei di quel periodo Elizer conosceva l'ebraico biblico e talmudico
Sin dall'età di tre anni, infatti,
comincia lo studio dei principali testi della liturgia ebraica, la
Torah e la Mishna..
Dopo
la maggiorità religiosa diventa allievo del rabbino
MaskilimRav Yossi Bloïker
che lo introduce segretamente alle idee ebraiche del Haskala e che
gli fa leggere alcuni libri giudicati eretici dagli ebrei ortodossi.
Legge tra altri Tzohar Ha-Teva (La luce dell'arca), KurOni (Robinson
Crusoé), la Guida dei Perplessi di Maimonide, il Tesoro della
saggezza di ZviRabinovitch, AhavatTzion (L'amore di Sion) di Abramo
Mapu. Si stacca quindi sempre più dalla religione fino al giorno in
cui decise l'abbandono degli studi rabbinici, sancendo così la
rottura con la famiglia di origine, fortemente religiosa
Fortunatamente
per lui, un uomo di affari chassidico Samuel NaphtaliHerz Giona
l'adotta, ed è in questa famiglia che incontra la sua futura moglie,
Debora, figlia maggiore del suo nuovo padrino.
Nella
sua autobiografia, Ben Yehuda confessò che a quell'epoca, aveva
rotto quasi totalmente con la sua appartenenza al popolo ebraico. La
sola cosa che gli impedì di diventare completamente russo è stato
il suo attaccamento alla lingua ebraica. Continua così a leggere
tutti i testi ebraici che gli passano tra le mani. Diventa lettore
del giornale mensile HaShachar di PerezSmolenskin.
È
in un caffè del quartiere latino che fa l'incontro del suo terzo
'padre' Chashnikov,
un giornalista russo corrispondente del RuskiMir. Di famiglia nobile
e amico della principessa Trubetskaja, il giornalista, sulla
quarantina, lo prende sotto la sua ala e grazie a questo incontro,
Eliezer apprende tutti i segreti del giornalismo e del mondo politico
parigino. Accompagna Chashnikov nei dibattiti dell'assemblea
nazionale e al teatro. Per provvedere ai suoi bisogni e pagare i suoi
studi, Chashnikov gli procura dei lavori di traduzione del francese
al russo.
Inizia
gli studi medici alla Sorbona, a Parigi, ma durante il suo primo
inverno in città contrae la tubercolosi e la sua condizione di
salute lo costringerà presto ad abbandonare i suoi studi medici, ma
non prima di avere fatto conoscere il suo progetto a Parigi
Quando
Eliezer confida finalmente al suo amico giornalista il segreto della
sua venuta a Parigi, Chashnikov lo appoggia e l'incita a fare
conoscere, tramite i giornali, la sua idea di rinascita dell'ebraico
nella Terra Santa degli ebrei.
È
a Parigi che prende l'abitudine di conversare esclusivamente in
ebraico con gli ebrei che incontra. Nel 1880, pubblica due articoli
sul giornale HaVatzelet (Il giglio) di Israele Dov per esaltare l'uso
dell'ebraico come lingua di insegnamento nelle scuole di Gerusalemme
Quando
Eliezer comincia a peggiorare e a sputare del sangue, il medico della
scuola normale lo fa ricoverare all'ospedale Rothschild. Mentre è
ricoverato incontra Abramo MoshéLuntz, anch'egli ricoverato, e
apprende da lui che le differenti comunità ebraiche già stabilitesi
in Israele, gli ashkenaziti, sefarditi, magrebini e georgiani hanno
già l'abitudine di parlare in ebraico sefardita, unica lingua
compresa di tutti.
Intanto
la sua fidanzata Debora lo raggiunge con la ferma intenzione di
seguirlo
ovunque
vada e dopo l’ospedale troviamo Ben Yehuda a d Algeri indi a
Vienna. Comincia ad insegnare l'ebraico alla fidanzata, che come
tutte le donne ebree dell'epoca non aveva potuto studiare questa
lingua. La giovane coppia si sposa al Cairo in Egitto. La meta
successiva è per Giaffa nel mese di ottobre del 1881.
Al
momento di scendere in Palestina prova un forte sentimento di
spavento, di timore quasi.
Arrivato
a Gerusalemme IsraelDov gli offre di lavorare per il suo giornale
HaVatzelet. Diventa redattore capo aggiunto con un stipendio di venti
franchi al mese. Si serve di questa posizione privilegiata per
promuovere la rinascita della lingua e della cultura ebraica a
Gerusalemme.
A
quell'epoca un buon numero di persone si lascia conquistare dal
progetto nazionalista ebraico. In seguito ai primi episodi di pogrom
nella Russia imperiale circa
10.000 persone, non sentendosi più al sicuro a causa della loro
origine e della loro religione e non avendo più niente da perdere,
lasciano il territorio dell'impero per trasferirsi in Israele. È la
prima Aliya.
Alcune organizzazioni come OhaveiTzion
(Gli Amanti di Sion), sotto la leadership di MoséLilienblum e Leon
Pinsker, e come il Bilu di
IsraelBelkind simpatizzano con la causa dell'ebraico come lingua
nazionale.
Ma
lasciamo la parola a questo pezzo, davvero toccante, Alla
lingua ebraica Memoria di Ben Yehuda,
(trad. Marcello Leone)
“ Nel
1877, lo stesso anno in cui terminai il mio ginnasio, la Russia
dichiarò guerra contro l’Impero Ottomano al fine di supportare i
Bulgari nelle lotte per la loro indipendenza. I Greci ce l’avevano
fatta nel 1829 (e ancora circolava per l’Europa il fantasma
irrequieto di Byron, accorso in difesa dell’Ellade e poi morto di
malaria); intorno alla metà del secolo gli Italiani avevano sognato
e ritrovato una patria. Così, pensai che anche gli Ebrei dovevano
ritrovare una patria, ma non immaginai soltanto un pezzo di terra in
cui vivere insieme.
Sognai
- ed è questo il sogno che ancora mi spezza la schiena - che tutti
gli Ebrei potessero un giorno abitare la stessa lingua. Lasciai
dunque la Russia nel 1878, deciso a recarmi in Palestina. Prima,
tuttavia, volevo studiare medicina a Parigi, per poter essere d’aiuto
agli altri Ebrei. In Francia trovai insieme la gioia ed il dolore.
Non ricordo più dove conobbi il primo colpo di tosse, come non so
quando e dove sopraggiungerà l’ultimo. Tuttavia, mi piace pensare
che io abbia scoperto la prima macchia di sangue in quello stesso
caffè dove incontrai anche la gioia.
Non
potrò mai dimenticare il colore verde brillante delle sedie, il
fruscio dei paltò lungo i tavoli, una tenue campanella che indicava
nervosamente l’aprirsi ed il chiudersi della porta, il viavai dei
camerieri. Era una giornata fredda e solare, una di quelle in cui i
pensieri si affinano ed acquistano insieme vigore e leggerezza. Fu
lì, seduto in quel caffè lungo il boulevard Montmartre, che ebbi
una conversazione interamente in lingua ebraica con GetzelZelikovitz
e Mordecai Adelman. Di certo non si trattò di una lunga
chiacchierata: pochi erano i nostri vocaboli e la nostra lingua era
ancora legata. Ma fu in quella occasione che capii, per la prima
volta, che l’Ebraico poteva tornare a vivere. E fuallora che presi
una decisione irrevocabile, che vaste conseguenze avrebbe avuto sulla
mia vita. Qualunque cosa accadesse, per quante difficoltà si
presentassero, non avrei mai parlato altra lingua che l’Ebraico
(con gli altri Ebrei, naturalmente, ma non c’è bisogno di
specificarlo...).
Così,
quando nel 1881 arrivai a Jaffa, parlai in Ebraico con un
cambiavalute, poi con il proprietario di un albergo, quindi con un
carrettiere. Tuttavia, ben presto mi accorsi di quanto impoverita e
frusta fosse divenuta questa lingua. Ebrei di diversa provenienza lo
parlavano nelle strade e nelle piazze, è vero, ma quanto
stentatamente, e ognuno con una diversa pronuncia, che spesso rendeva
le parole degli uni incomprensibili agli orecchi degli altri. Ad ogni
piccola difficoltà l’Ebraico veniva mescolato con altre lingue, e
poi soprattutto non varcava le porte delle case. Quasi ogni ebreo,
nel chiuso delle mura domestiche, parlava una lingua diversa
dall’Ebraico.
Questo
deprimente scenario mi fece compiere uno dei passi più dolorosi
della mia vita.
Prendi
tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, va’ nel territorio di
Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.
Così Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé
due servi e si mise in viaggio verso il luogo che gli era stato
indicato.
Il
mio coltello mai si è levato contro mio figlio, ma quando egli
nacque, nel 1882, in un certo senso lo votai a un sacrificio in nome
dell’Altissimo: feci promettere a Deborah, mia moglie, che
l’avremmo allevato come il primo bambino di lingua interamente
ebraica della storia moderna. Non una singola parola di un’altra
lingua sarebbe stata proferita in sua presenza, né da noi, né dai
nostri amici e conoscenti. La lingua del popolo ebraico sarebbe
cresciuta assieme a mio figlio, ma alto era il prezzo da pagare per
questa impresa. Il mio
cuore
di vecchio si stringe ancora quando penso agli eccessi di
quell’epoca. A quattro anni, mio figlio era ancora incapace di
parlare. Lo mandavo a letto quandoospiti non ebrei venivano nella mia
casa, ed arrivai persino ad impedirgli di ascoltare il nitrito dei
cavalli, o il raglio degli asini. Solo il suono dell’Ebraico doveva
passare dalle sue orecchie. Poi un giorno, tornando a casa, scoprii
Deborah che gli cantava una ninna-nanna in russo, dondolandolo fra le
braccia. Andai su tutte le furie e cominciai a gridare. Fu allora che
avvenne un piccolo miracolo. L’angelo mi chiamò dal cielo e mi
disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli
alcun male!" Quindi, come Abramo alzò gli occhi e vide un
ariete impigliato con le corna in un cespuglio, io sentii, e ancora
risuona nella mia memoria, la prima parola in Ebraico pronunciata da
mio figlio.
Egli
aveva bisogno ogni giorno di nuove parole, così come gli Ebrei di
Palestina. Ma è difficile trovare nella Bibbia parole come
"bambola", "gelato", "budino",
"omelette", "fazzoletto", "asciugamano",
"bicicletta", e molti altri ancora. Capii dunque che se
volevo far rinascere l’Ebraico come lingua moderna non potevo
limitare la mia ricerca lessicologica alla Bibbia, ma dovevo
estenderla ad altre fonti, di altri periodi. E poi dovevo coniare
parole nuove sulla base di quelle vecchie, continuare modestamente il
lavoro di Adamo.
All’inizio
la mia passione linguistica fu oggetto più di scherno che di
ammirazione, poi pian piano cominciò a suscitare entusiasmo. Nel
1889 fondai l’associazione SafaBerura, un "comitato di
letteratura" incaricato di estrapolare i vocaboli ebraici dai
testi in cui si trovavano relegati, per poi pubblicarli. Con la
supervisione di grammatici e scrittori, il comitato poteva anche
proporre dei neologismi. Fra il 1880 e il 1900, associazioni di
questo genere sorsero un po’ dappertutto in Europa, ma fu solo a
partire dal 1904 che la mia testardaggine iniziò a dare i suoi
frutti. Da quando ero giuntoa Gerusalemme mantenevo me stesso e la
mia famiglia lavorando come giornalista. Nel 1884 avevo fondato un
nuovo giornale, HaTzevi, dapprima un settimanale, poi un quotidiano.
Scrivevo tutti i miei articoli ricorrendo all’"Ebraico
totale", basato su fonti ebraiche di tutti i tempi, ma inventai
anche moltissime parole nuove, più di 230, se ricordo bene.
Lentamente,
poi, e proprio grazie al mio giornale, questi neologismi entrarono a
far parte dell’Ebraico quotidiano: diedi un nome al ristorante, al
giornale, alla bicicletta, all’orologio, all’arte, alla bambola,
alla rosa, al colore grigio e all’ombrello, al fazzoletto,
all’ufficio, al marciapiede. Ma poi, con la guerra del 1914,
dovetti dare un nome anche ai soldati, al fronte, alla bomba, alla
pistola. Paradossalmente, scelsi di imprigionare il mio corpo per
sempre dietro una di queste scrivanie nel 1894, quando le autorità
turche mi obbligarono a trascorrere in prigione un breve periodo. Mio
suocero aveva pubblicato un articolo in HaTzevi, e una delle sue
frasi, "Ne’esofchayilvenelekhkadima",
"riuniamo
le nostre forze e andiamo avanti", fu interpretata come
"riuniamo un esercito per conquistare l’Oriente". Questo
episodio fece scattare in me il desiderio di compilare un dizionario
che raccogliesse tutte le parole dell’Ebraico e le associasse ad un
significato preciso. La prigione mi diede tempo a sufficienza per
dare avvio a questa impresa, che in seguito ho proseguito a Londra,
Oxford, Cambridge, Parigi, Berlino, San Pietroburgo, Parma, Livorno e
nel Vaticano, dovunque si nascondano testi in Ebraico. Dopo quindici
anni di ricerche, la maggior parte dei quali passati a lavorare fino
a diciotto ore al giorno, il primo volume del Thesaurus della lingua
ebraica antica e moderna ha visto la luce 11 anni fa, nel 1910. Altri
volumi sono stati completati negli anni successivi, e ora la mia mano
stanca continua a riempire schede su schede di minute parole, sotto
il cerchio di questa lampada. Lavoro al settimo volume del mio
agognato dizionario, memoria delle parole di Adamo. Tra le tante
parole del passato, ve ne sarà anche qualcuna interamente mia,
figlia della mia propria lingua come il primo bambino di lingua
ebraica è stato figlio dei miei lombi. Tante parole nuove dovranno
essere inventate, e quando l’Ebraico non basterà, la lingua araba,
sorella della nostra, ci fornirà i suoi suggerimenti. Che cos’è
infatti un amico, se non quello che ti offre la parola mancante?”
Ecco perché ho iniziato da Elizer Ben Yehuda. La lingua,è cio’ che unisce un popolo, cio’ che crea una nazione, nello spirito prima ancora che sulla carta. Nell’idea dei primi sionisti, come lo stesso Herzl, si pensava di fondare uno Stato ebraico ove la lingua potesse essere il tedesco (o l’yiddish). L’idea di una lingua “ebraica” non li sfiorava, anzi Herzl considerava Ben Yeuhda solo un utopista destinato a fallire (ma anche Ben Yehuda pensava lo stesso dell’idea sionista di Herzl) Come giustamente osservo’ Ben Yeudha, fino a che un popolo parla la lingua di un’altra nazione, sarà sempre suddito di quella nazione .
Per
questo, quando ci chiediamo quando sia nato Israele..la risposta è
tutt’altro che scontata, e non necessariamente coincide con quel
1948.
Eliezer
Ben-Yehuda è sepolto nel cimitero di Mount Olive in Gerusalemme, in
una tomba di famiglia delimitato da una recinzione in ferro battuto
con un cancello oltre il quale vi è una scritta in caratteri ebraici
antichi "Per il vivificatore della nostra lingua - Eliezer
Ben-Yehuda" ed una mappa di Eretz Yisrael inquadrata nella forma
di una casa.
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