venerdì 25 aprile 2014

La Memoria del Bene: i Giusti



Giusti fra le Nazioni
di Haim Hefer
Sento la definizione “Giusti fra le Nazioni”
e provo a pensare alle persone
che diedero un nascondiglio in cui rifugiarsi.
Se fossi stato io al loro posto,
che cosa avrei fatto?
In mezzo a un oceano di odio,
avrei forse dato rifugio ai figli di un altro popolo?
Saremmo stati disposti, io e i miei famigliari,
a vivere in una paura continua?
A sognare tutte le notti il passo pesante dei carnefici?
Sarei stato pronto a continuare fra tiri di fuoco e lame di coltelli,
tra i sussurri dei pettegolezzi,
i mormorii delle voci e le speranze dei delatori?

E tutto ciò non per una sola notte, non per un mese, ma per anni.
E tutto ciò senza chiedere alcun compenso, ma solo una stretta di mano.
E tutto ciò perché l’uomo deve essere uomo per l’uomo.
Nella terribile guerra costoro furono ogni giorno in battaglia.
Essi sono i Giusti per il cui merito il mondo non è andato in rovina.
Nella storia del popolo assassinato, soffocato e ucciso,
essi sono state le colonne portanti:
la clemenza e la compassione su cui il mondo si regge.
Di fronte al loro eroismo,
che costituisce per noi ancora un enigma,
noi ebrei chiniamo il capo con gratitudine.
Fonte: Anna Rolli tramite Giuseppe Segre



CHI SONO I GIUSTI
Il 10 maggio 2012 infatti il Parlamento Europeo ha approvato con 388 firme la proposta di Gariwo di istituire il 6 marzo una Giornata europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi.
Ma, che cos’e un “Giusto”? Alcune riflessioni tratte da un recente articolo di Marina Gersony, Stefano Levi Della Torre sul bollettino di “Mosaico”
Il termine Giusto è tratto dal passo della Torà che afferma “chi salva una vita salva il mondo intero” ed è stato applicato per la prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto di Giusto è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e, per estensione, a tutti coloro che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo nelle situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la memoria contro i ricorrenti tentativi di negare la realtà delle persecuzioni.
Per me e per tutti gli altri prigionieri era l’unico tedesco buono, l’unico tedesco di cui non avevamo paura, l’unico a cui un ebreo poteva chiedere un favore». Con queste parole Moshe Bejski si riferiva a Oskar Schindler, l’uomo che ingannò le SS salvando la vita di centinaia di ebrei e in seguito reso famoso dal film di Steven Spielberg.
Giudice della Corte Costituzionale di Israele e Presidente della Commissione dei Giusti dello Yad Vashem, Bejski è scomparso nel 2007 lasciando una preziosa eredità etica alle nuove generazioni. Nello stesso modo in cui Simon Wiesenthal dava la caccia ai criminali nazisti, Bejski si mise sulla traccia di coloro che avevano aiutato gli ebrei a salvarsi, spesso scontrandosi con l’ingratitudine dei sopravvissuti. Non gli interessava tanto la purezza e la perfezione di chi aveva salvato delle vite. Non cercava né eroi né superuomini. L’elemento essenziale era l’azione giusta, anche se isolata, perché in quella si era espresso il Bene. Una visione che lo portò spesso a scontrarsi con le istituzioni più propense a celebrare i santi e gli eroi piuttosto che rendere merito ai quanti, imperfetti e contradditorii, avevano messo in gioco se stessi per gli altri.
Raccogliere l’eredità che fu di Bejski significa ripercorrere la sua strada: per valorizzare i Giusti di oggi, in ogni parte del pianeta. Ovvero quei disobbedienti, anticonformisti, sovversivi e piantagrane, coraggiosi ribelli che alzano una voce fuori dal coro e si spendono per salvare chi è in pericolo, ovunque accadano genocidi o crimini contro l’umanità. Grazie all’impegno di Gariwo, il Comitato per la Foresta dei Giusti (www.gariwo.net), il concetto ebraico di Giusto tra le nazioni si è dunque universalizzato, diventando patrimonio di tutti.
Ma qual è la definizione di Giusto? E come dargli corpo oggi in un’Europa individualista, confusa, spesso amorale e distratta? Ne hanno parlato pensatori e filosofi nell’ambito del convegno internazionale “Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa”, che si è svolto di recente a Milano, a Palazzo Marino. Organizzato dall’Associazione per il Giardino dei Giusti del capoluogo lombardo, è stato il primo appuntamento in vista delle celebrazioni per la Giornata Europea dei Giusti (6 marzo), istituita lo scorso maggio dal Parlamento Europeo e fortemente voluta da Gabriele Nissim, scrittore, storico, ideatore e presidente di Gariwo che, grazie al proprio, testardo, impegno, è riuscito a far passare la mozione a Bruxelles. 
«Le figure dei Giusti sono un simbolo unificante in cui tutti possono riconoscersi. Figure di coraggio civile che, oggi come ieri, mettono a rischio la propria vita in difesa dei diritti umani, testimoni di verità, di compassione…», dichiara. 
«Abbiamo bisogno di una piattaforma etica su cui costruire l’identità nobile dell’Europa. Valori alti, su cui edificare l’Europa, per uscire dal localismo miope, dall’intolleranza. Ecco perché la Memoria del Bene e dei Giusti è così importante.».
Un percorso tutt’altro che facile, perché spesso le memorie dividono, e sono in concorrenza tra loro. Come osserva ancora Gabriele Nissim, a cui va dato il merito di svolgere un importantissimo lavoro sulla Memoria del Bene, «ciascuno ha i suoi Giusti da proporre e quegli degli altri da escludere». A Bruxelles, c’era chi non voleva che si parlasse degli armeni, altri del totalitarismo sovietico, altri ancora della Bosnia e altri ancora pensavano che si dovesse parlare solo dei Giusti della Shoah. «Eppure -spiega Nissim-, si diventa veramente europei quando si è cittadini del mondo, quando si costruisce una memoria condivisa. L’Europa non si costruisce con una memoria che guarda solo al particolare, ma con la pluralità delle memorie».
Va detto che per lo piu’ il Giusto non è mai un eroe, o un guru, non è perfetto, non è una figura titanica e lontana che si innalza sugli altri: sta invece dentro le cose, va verso l’altro, verso l’aderenza.
«Nessun Giusto obbedisce alla Legge naturale. Anzi: spesso lui è oltre e al di fuori della Giustizia -riflette il filosofo Massimo Cacciari-. Non c’è nulla di naturale in un Giusto. In lui tutto è sovrannaturale. La sua non è la temperanza medievale che insegnava un concetto di equilibrio. E non è neppure l’idea di una Giustizia distributiva e tanto meno punitiva. Il Giusto non chiede mai la punizione, ma ha a che fare con l’idea del dono e del perdono. Se il Male è escludere l’altro, far sì che l’altro non sia, non esista, il Bene è invece effusivo, non isola, non esclude: è il donarsi per il donarsi, senza calcolo. Per effusività intendo il guardare l’altro: il vero peccato originale dell’Uomo è, da sempre, il non guardare, il voltare la testa dall’altra parte e rifiutarsi di vedere. Questa è la famosa banalità del Male. Il Giusto lotta contro il Male ma non facendo MAI il Male».
Indifferenza, non vedere, far finta di niente, ma anche apatia e ignoranza di chi non vuole sapere o non può sopportare l’orrore . O di chi si rifugia nell’omissione, una tra le colpe più gravi dell’umanità. Perché è proprio cumulando le omissioni che vengono fuori le azioni perverse. Perché è a forza di tollerare e lasciar correre che diventano possibili i grandi Mali. Non a caso i totalitarismi sono nati poco a poco, nell’indifferenza generale, fino a quando non era troppo tardi per reagire alle esplosioni di violenza.
In questa cornice, il Giusto assume una posizione determinante; quella di colui che può cambiare il corso delle cose attraverso il suo comportamento: «Il Giusto è colui che insegue un pensiero “riflettente”-spiega Nissim-, ovvero che agisce in base a un pensiero che si fa riflesso degli altri. E che obbedisce a qualcosa di inaspettato, sorprendente anche per se stesso, un impulso morale che non sospettava di avere.
Hannah Arendt diceva che ciò che conta è insegnare alle persone a pensare con la propria testa, a esercitare il proprio spazio di responsabilità e a difendere il proprio orizzonte morale. Questo è il retroterra su cui può crescere un Giusto. E la responsabilità è sempre una sfida; a volte non ci sono esempi da seguire, siamo soli con la nostra legge morale, quella voce interiore, che è lì a guidarci, sola contro tutti».
La responsabilità individuale, dunque, è una delle parole chiave, penso all’idea di “responsabilità incarnata” a cui si riferiva il filosofo Emmanuel Levinas: se non rispondo di me chi risponderà per me?, si chiedeva dal campo di prigionia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Per Levinas un Giusto è colui che si fa carico del “volto dell’Altro”, della sua “bisognosità” e fragilità. Il Giusto è colui che prende su di sé “lo spessore carnale” del mondo e che accetta di portare l’Altro sulle proprie braccia e metterlo intorno al collo».
Ed è a questo punto che entrano in gioco valori come rispetto e dignità, valori fondanti dell’universalità umana. Dice in proposito Salvatore Natoli, accademico e filosofo: «la parola chiave è: dignità. Che vuol dire libertà, universalità. Nella Bibbia c’è scritto: “ama il prossimo”. Nella tradizione talmudica, l’espressione è bella e viene chiosata in questo modo: “cerca per il tuo prossimo quello che cerchi per te stesso”.
E Spinoza svilupperà chiaramente questa dimensione, tralasciando l’uso del termine solidarietà, troppo compassionevole e buonista, ma usando l’utilità. Nulla è più utile all’uomo dell’uomo stesso. Cioè concorrere per la realizzazione del bene comune». E conclude: «Il nuovo Welfare non è una distribuzione assistenziale di risorse, ma è piuttosto creare condizioni opportune perché ognuno possa valorizzare se stesso. Poiché se non si rispetta la singola persona, il rischio è che la solidarietà diventi una generosità pelosa o una forma di parassitismo legalizzato».

Nessun commento:

Posta un commento