Giusti
fra le Nazioni
di Haim Hefer
Sento la definizione “Giusti fra
le Nazioni”
e provo a pensare alle persone
che diedero un nascondiglio in cui
rifugiarsi.
Se fossi stato io al loro posto,
che cosa avrei fatto?
In mezzo a un oceano di odio,
avrei forse dato rifugio ai figli di
un altro popolo?
Saremmo stati disposti, io e i miei
famigliari,
a vivere in una paura continua?
A sognare tutte le notti il passo
pesante dei carnefici?
Sarei stato pronto a continuare fra
tiri di fuoco e lame di coltelli,
tra i sussurri dei pettegolezzi,
i mormorii delle voci e le speranze
dei delatori?
E tutto ciò non per una sola notte,
non per un mese, ma per anni.
E tutto ciò senza chiedere alcun
compenso, ma solo una stretta di mano.
E tutto ciò perché l’uomo deve
essere uomo per l’uomo.
Nella terribile guerra costoro
furono ogni giorno in battaglia.
Essi sono i Giusti per il cui merito
il mondo non è andato in rovina.
Nella storia del popolo assassinato,
soffocato e ucciso,
essi sono state le colonne portanti:
la clemenza e la compassione su cui
il mondo si regge.
Di fronte al loro eroismo,
che costituisce per noi ancora un
enigma,
noi ebrei chiniamo il capo con
gratitudine.
Fonte:
Anna Rolli tramite Giuseppe Segre
CHI
SONO I GIUSTI
Il 10 maggio 2012 infatti il Parlamento Europeo ha approvato con 388
firme la proposta di Gariwo di istituire il 6 marzo una Giornata
europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi.
Ma,
che cos’e un “Giusto”? Alcune riflessioni tratte da un
recente articolo di Marina Gersony, Stefano Levi Della Torre sul
bollettino di “Mosaico”
Il
termine Giusto è tratto dal passo della Torà che afferma “chi
salva una vita salva il mondo intero” ed è stato applicato per la
prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli
ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto di
Giusto è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo
sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e, per estensione, a
tutti coloro che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il
crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo nelle
situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la memoria
contro i ricorrenti tentativi di negare la realtà delle
persecuzioni.
“Per
me e per tutti gli altri prigionieri era l’unico tedesco buono,
l’unico tedesco di cui non avevamo paura, l’unico a cui un ebreo
poteva chiedere un favore». Con queste parole Moshe
Bejski
si riferiva a Oskar Schindler, l’uomo che ingannò le SS salvando
la vita di centinaia di ebrei e in seguito reso famoso dal film di
Steven Spielberg.
Giudice
della Corte Costituzionale di Israele e Presidente della Commissione
dei Giusti dello Yad Vashem, Bejski è scomparso nel 2007 lasciando
una preziosa eredità etica alle nuove generazioni. Nello stesso modo
in cui Simon Wiesenthal dava la caccia ai criminali nazisti, Bejski
si mise sulla traccia di coloro che avevano
aiutato
gli ebrei a salvarsi,
spesso scontrandosi con l’ingratitudine dei sopravvissuti. Non gli
interessava tanto la purezza e la perfezione di chi aveva salvato
delle vite. Non cercava né eroi né superuomini. L’elemento
essenziale era l’azione giusta, anche se isolata, perché in quella
si era espresso il Bene.
Una visione che lo portò spesso a scontrarsi con le istituzioni più
propense a celebrare i santi e gli eroi piuttosto che rendere merito
ai quanti, imperfetti e contradditorii, avevano messo in gioco se
stessi per gli altri.
Raccogliere
l’eredità che fu di Bejski significa ripercorrere la sua strada:
per valorizzare i Giusti di oggi, in ogni parte del pianeta. Ovvero
quei disobbedienti, anticonformisti, sovversivi e piantagrane,
coraggiosi ribelli che alzano una voce fuori dal coro e si spendono
per salvare chi è in pericolo, ovunque accadano genocidi o crimini
contro l’umanità. Grazie all’impegno di Gariwo, il Comitato per
la Foresta dei Giusti (www.gariwo.net), il concetto ebraico di Giusto
tra le nazioni si è dunque universalizzato, diventando patrimonio di
tutti.
Ma
qual è la definizione di Giusto? E come dargli corpo oggi in
un’Europa individualista, confusa, spesso amorale e distratta? Ne
hanno parlato pensatori e filosofi nell’ambito del convegno
internazionale “Le virtù dei Giusti e l’identità dell’Europa”,
che si è svolto di recente a Milano, a Palazzo Marino. Organizzato
dall’Associazione per il Giardino dei Giusti del capoluogo
lombardo, è stato il primo appuntamento in vista delle celebrazioni
per la Giornata Europea dei Giusti (6 marzo), istituita lo scorso
maggio dal Parlamento Europeo e fortemente voluta da Gabriele
Nissim, scrittore, storico, ideatore e presidente di Gariwo che,
grazie al proprio, testardo, impegno, è riuscito a far passare la
mozione a Bruxelles.
«Le
figure dei Giusti sono un simbolo unificante in cui tutti possono
riconoscersi. Figure
di coraggio civile
che, oggi come ieri, mettono a rischio la propria vita in difesa dei
diritti umani, testimoni di verità, di compassione…»,
dichiara.
«Abbiamo bisogno di una piattaforma etica su cui costruire
l’identità nobile dell’Europa. Valori alti, su cui edificare
l’Europa, per uscire dal localismo miope, dall’intolleranza. Ecco
perché la Memoria del Bene e dei Giusti è così importante.».
Un
percorso tutt’altro che facile, perché spesso le memorie dividono,
e sono in concorrenza tra loro. Come osserva ancora Gabriele Nissim,
a cui va dato il merito di svolgere un importantissimo lavoro sulla
Memoria del Bene, «ciascuno ha i suoi Giusti da proporre e quegli
degli altri da escludere». A Bruxelles, c’era chi non voleva che
si parlasse degli armeni, altri del totalitarismo sovietico, altri
ancora della Bosnia e altri ancora pensavano che si dovesse parlare
solo dei Giusti della Shoah. «Eppure -spiega Nissim-, si diventa
veramente europei quando si è cittadini del mondo, quando si
costruisce una memoria condivisa. L’Europa non si costruisce con
una memoria che guarda solo al particolare, ma con la pluralità
delle memorie».
Va
detto che per lo piu’ il Giusto non è mai un eroe, o un guru, non
è perfetto, non è una figura titanica e lontana che si innalza
sugli altri: sta invece dentro le cose, va verso l’altro, verso
l’aderenza.
«Nessun
Giusto obbedisce alla Legge naturale. Anzi: spesso lui è oltre e al
di fuori della Giustizia -riflette il filosofo Massimo Cacciari-. Non
c’è nulla di naturale in un Giusto. In lui tutto è
sovrannaturale. La sua non è la temperanza medievale che insegnava
un concetto di equilibrio. E non è neppure l’idea di una Giustizia
distributiva e tanto meno punitiva. Il Giusto non chiede mai la
punizione, ma ha a che fare con l’idea del dono e del perdono. Se
il Male è escludere l’altro, far sì che l’altro non sia, non
esista, il Bene è invece effusivo, non isola, non esclude: è il
donarsi per il donarsi, senza calcolo. Per effusività intendo il
guardare l’altro: il vero peccato originale dell’Uomo è, da
sempre, il non guardare, il voltare la testa dall’altra parte e
rifiutarsi di vedere. Questa è la famosa banalità del Male. Il
Giusto lotta contro il Male ma non facendo MAI il Male».
Indifferenza,
non vedere, far finta di niente, ma anche apatia e ignoranza di chi
non vuole sapere o non può sopportare l’orrore . O di chi si
rifugia nell’omissione, una tra le colpe più gravi dell’umanità.
Perché è proprio cumulando le omissioni che vengono fuori le azioni
perverse. Perché è a forza di tollerare e lasciar correre che
diventano possibili i grandi Mali. Non a caso i totalitarismi sono
nati poco a poco, nell’indifferenza generale, fino a quando non era
troppo tardi per reagire alle esplosioni di violenza.
In
questa cornice, il Giusto assume una posizione determinante; quella
di colui che può cambiare il corso delle cose attraverso il suo
comportamento: «Il Giusto è colui che insegue un pensiero
“riflettente”-spiega Nissim-, ovvero che agisce in base a un
pensiero che si fa riflesso degli altri. E che obbedisce a qualcosa
di inaspettato, sorprendente anche per se stesso, un impulso morale
che non sospettava di avere.
Hannah
Arendt diceva che ciò che conta è insegnare alle persone a pensare
con la propria testa, a esercitare il proprio spazio di
responsabilità e a difendere il proprio orizzonte morale. Questo è
il retroterra su cui può crescere un Giusto. E la responsabilità è
sempre una sfida; a volte non ci sono esempi da seguire, siamo soli
con la nostra legge morale, quella voce interiore, che è lì a
guidarci, sola contro tutti».
La
responsabilità individuale, dunque, è una delle parole chiave,
penso all’idea di “responsabilità incarnata” a cui si riferiva
il filosofo Emmanuel Levinas: se non rispondo di me chi risponderà
per me?, si chiedeva dal campo di prigionia, durante la Seconda
Guerra Mondiale. Per Levinas un Giusto è colui che si fa carico del
“volto dell’Altro”, della sua “bisognosità” e fragilità.
Il Giusto è colui che prende su di sé “lo spessore carnale” del
mondo e che accetta di portare l’Altro sulle proprie braccia e
metterlo intorno al collo».
Ed
è a questo punto che entrano in gioco valori come rispetto e
dignità, valori fondanti dell’universalità umana. Dice in
proposito Salvatore Natoli, accademico e filosofo: «la parola chiave
è: dignità. Che vuol dire libertà, universalità. Nella Bibbia c’è
scritto: “ama il prossimo”. Nella tradizione talmudica,
l’espressione è bella e viene chiosata in questo modo: “cerca
per il tuo prossimo quello che cerchi per te stesso”.
E
Spinoza svilupperà chiaramente questa dimensione, tralasciando l’uso
del termine solidarietà, troppo compassionevole e buonista, ma
usando l’utilità.
Nulla
è più utile all’uomo dell’uomo stesso.
Cioè concorrere per la realizzazione del bene comune». E conclude:
«Il nuovo Welfare non è una distribuzione assistenziale di risorse,
ma è piuttosto creare condizioni opportune perché ognuno possa
valorizzare se stesso. Poiché se non si rispetta la singola persona,
il rischio è che la solidarietà diventi una generosità pelosa o
una forma di parassitismo legalizzato».
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