Un giorno, presso la scuola
elementare situata ad Alba in Via Accademia, un’umile donna al
termine delle lezioni stava pazientemente attendendo che i suoi tre
figlioli comparissero sulla soglia dell’edificio scolastico. Arrivò
per primo Giuseppe, il maggiore, che le chiese immediatamente di
tenergli la cartella. Quando l’ignara madre si accinse a soddisfare
la sua richiesta, il ragazzo si diresse nuovamente verso la soglia
dell’edificio da cui, proprio in quel momento, stavano uscendo
altri alunni colpevoli di aver molestato e picchiato, probabilmente
durante la ricreazione scolastica, i due fratelli più piccoli di
Giuseppe il quale, senza dar tempo alla madre di intervenire,
pareggiò il conto con i piccoli bulli con un’improvvisa serqua di
cazzotti.
“Brutto monellaccio! – gli urlò la povera donna – Guarda
che figura mi fai fare: sembra che sia venuta apposta per tenerti il
sacco mentre tu combini le tue bricconate!”.Quel ragazzino, così spavaldo e determinato, si chiamava Giuseppe Girotti e circa trent’anni dopo il fatto qui riportato, dopo essere entrato nell’Ordine dei Frati Predicatori, sarebbe morto nel lager di Dachau, per aver dato aiuto e ricetto agli ebrei, crudelmente perseguitati dal regime nazista del Terzo Reich e dalla Repubblica di Salò.
Giuseppe Girotti è nato ad Alba il 19 luglio 1905 ed è morto a Dachau il 1° aprile 1945, nella domenica di Pasqua.
Trentanove anni di vita dunque trascorsi tra le due guerre mondiali che hanno tristemente caratterizzato il secolo XX .
Figlio di Celso Girotti e di Martina Proetto, venne alla luce il 19 luglio 1905 nella cittadina di Alba, in provincia di Cuneo, ed undici giorni dopo fu battezzato nella parrocchia di San Lorenzo
Fin dalla sua più tenera età ricevette un'educazione prettamente prettamente cristiana Il 1915, anno in cui Giuseppe ha terminato la quarta elementare, l’Italia ha preso parte alla Prima Guerra Mondiale ed il padre Celso è dovuto partire per il fronte, nonostante i suoi 40 anni.
Il 9 maggio 1912 gli viene amministrata la Cresima dal Vescovo
diocesano mons. Giuseppe Re e nello stesso giorno ricevette anche la
prima Comunione, secondo le
usanze allora in vigore. Grazie
all’educazione religiosa che gli era stata impartita dai genitori
divenne ben presto un assiduo chierichetto del duomo di Alba e
quando, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dovette partire per
il fronte anche il sagrestano di tale chiesa, Giuseppe fu per così
dire assunto dal parroco in qualità di sacrista, dietro il
compenso di piccole somme di denaro.Nell’estate del 1918, conobbe un frate domenicano che gli propose di iscriversi nel Piccolo Seminario dei Frati Predicatori, che aveva sede nel loro convento di Chieri, proposta che il Girotti accettò con entusiasmo. Prima di mettere in atto questo progetto che, come vedremo, contrassegnerà in modo radicale tutta la sua vita futura, Giuseppe dovette tuttavia attendere che il padre Celso fosse ritornato dal fronte e quindi egli entrò nel Piccolo Seminario, detto anche Collegino, il 5 gennaio 1919, all’età di tredici anni.
l’alunno vivace e mediocre di qualche anno prima si era
trasformato in uno studente brillante e diligente che si ritrova
perfettamente nella scelta religiosa che aveva compiuto all’età
di tredici anni e nell’ambiente domenicano e si stava in lui
sviluppando quell’attitudine alla ricerca meticolosa ed alla
riflessione che lo porteranno in seguito a divenire uno stimato
studioso della Bibbia.
Il 22 settembre 1922 il Girotti, nella chiesa di San Domenico di
Chieri, veste ufficialmente il bianco abito dei Frati Predicatori e
quattro giorni dopo partirà alla volta del convento di Santa Maria
della Quercia di Viterbo, dove all’epoca venivano riuniti tutti i
novizi domenicani dell’Italia.
Cominciava quel cammino religioso che si sarebbe concluso quasi 23
anni dopo nel campo di Dachau, con la palma del martirio.
Dopo aver completato i suoi studi a Viterbo ed in seguito a
Fiesole, il Girotti è nuovamente a Chieri, dove dà prova di essere
particolarmente versato nello studio del latino e della Sacra
Scrittura ed il 3 agosto 1930, nella stessa Chiesa, in cui quasi otto
anni prima è avvenuta la sua vestizione religiosa, il nostro
Domenicano è ordinato sacerdote. La sua prima Messa solenne volle
celebrarla ad Alba: infatti rimase sempre affezionato alla sua
città natale e agli antichi conoscenti.
Tra il 1932 ed il 1934 frequenta a Gerusalemme la prestigiosa
École Biblique, fondata dal Padre M.J. Lagrange.
Padre Girotti possedeva inoltre un temperamento e uno spirito piuttosto indipendente che lo portò piu' volte a scontrarsi con le idee rigorose di determinati frati e anche con le massime autorità del suo stesso Ordine.
Nel frattempo scoppiava la seconda guerra mondiale e Padre Girotti quindi, con l’aiuto di altri sacerdoti, praticava una carità squisitamente evangelica, consistente nel procurare alla povera gente angariata dalla fame e dal freddo generi di primaria necessità, quali cibo, vestiti, talvolta piccole somme di denaro. Ma il Girotti, in particolare dopo la fatidica data dell’armistizio, si era spinto ben oltre e la sua maggiore opera caritativa si svolgeva massimamente nella clandestinità dal momento che costituiva un rischio mortale per chiunque la stesse compiendo: egli infatti portava soccorso e offriva asilo agli ebrei, ai figli d’Israele crudelmente perseguitati dalle forze nazifasciste.
Non è facile al giorno d’oggi ricostruire l’azione
clandestina del nostro Domenicano nonostante la capillare indagine
compiuta al riguardo dagli stessi Frati Predicatori, proprio a causa
del prudente e necessario riserbo con cui il Girotti ha sempre agito
in proposito: sappiamo tuttavia che si è occupato di una signorina
ebrea di Alba, nipote del rabbino Deangeli di Roma, accompagnandola
ad Arona e facendola espatriare in Svizzera sulle acque del lago
Maggiore. Dalla ricostruzione storica possiamo renderci conto anche
di quale rischio mortale tale evento abbia effettivamente comportato,
in quanto il fatto è senza dubbio avvenuto nel settembre 1943 e con
ogni probabilità i due sono giunti ad Arona il giorno 15 di quel
mese, ovvero nello stesso giorno in cui una divisione SS, la
Leibstandarte Adolf Hitler, aveva iniziato ad occupare le ridenti
cittadine di Meina e di Arona per dare inizio alla prima strage degli
Ebrei compiuta sul suolo italiano. Le truppe della Leibstandarte, che
il 13 settembre 1943 avevano già occupato Baveno, tra il 15 ed il 23
settembre trucidarono con efferata crudeltà 54 persone ebree. I
cadaveri di sedici di esse furono gettati nel lago ed alcuni di
questi corpi nei giorni seguenti furono visti galleggiare vicinissimi
alla riva. I militari tedeschi tuttavia impedirono qualsiasi
tentativo di recupero: le salme pertanto furono nuovamente
trasportate al largo e vennero squarciate a colpi di baionetta per
facilitarne l’affondamento definitivo.
Le acque di quello stesso lago, per la ragazza ebrea protetta dal
Padre Girotti, rappresentarono invece una provvidenziale via di fuga:
ella infatti riuscì ad imbarcarsi ad Arona ed a giungere sana e
salva in Svizzera. Questa vera e propria operazione di soccorso e di
salvataggio compiuta dal nostro Frate parrebbe a prima vista un fatto
quasi miracoloso, specialmente se si tiene conto che i due avrebbero
momentaneamente preso alloggio presso l’hotel Sempione di
Arona proprio nello stesso giorno in cui una pattuglia di militari
tedeschi vi aveva fatto irruzione ed aveva arrestato quattro persone
ebree che, in seguito, vennero tutte ferocemente trucidate. Occorre
tuttavia tener presente che le squadre naziste agivano a colpo
sicuro, in base a delle precise delazioni o addirittura a delle liste
di proscrizione estorte ai vari uffici dei comuni occupati e questo
spiegherebbe la ragione del mancato arresto del Girotti e della
ragazza ebrea che, essendo appena giunti ad Arona, non erano affatto
conosciuti in tale luogo.
Incisiva e commovente è la testimonianza pubblica dell’avvocato
ebreo Salvatore Fubini pronunciata a Torino il 25 aprile 1959,
durante l’inaugurazione della lapide in ricordo di Padre Girotti,
collocata nel chiostro del convento di San Domenico:
“Chi ha
l’onore di parlare dinanzi a Voi... fu un perseguitato dal
nazifascismo che perdette diciotto dei suoi famigliari in quegli
orribili campi di sterminio in cui doveva terminare il suo apostolato
l’indimenticabile Padre Girotti... Egli fu mio amato compagno di
studi e doveva provvidenzialmente darmi asilo in quel periodo
infausto nel benedetto Collegino di Carmagnola... In quella casa io
fui accolto come ordinò Gesù... Nel rustico edificio di Carmagnola
trovai la più squisita ed affettuosa e disinteressata delle
ospitalità”.
Sappiamo invece che ha aiutato e nascosto il professore ebreo
Giuseppe Diena, insigne medico, filantropo e libero docente
presso l’Università di Torino, noto in tutta la città come medico
dei poveri per l’aiuto che questo eccezionale uomo di scienza
era solito dare alla gente bisognosa, e che proprio sul Diena si è
imperniata tutta la diabolica trappola ordita dalla polizia fascista
che ha portato, con l’aiuto di un traditore, all’arresto del
Padre Girotti e dello stesso professore.
Lasciamo che sia la testimonianza del figlio Giorgio a narrare la tragica cattura del Diena e del nostro Frate: “Mio padre, ebreo di nascita, era noto per il suo antifascismo che lo aveva portato in carcere da parte del Tribunale Speciale. Subito dopo l’8 settembre fu quindi necessario lasciare la nostra casa in Via Mazzini 12, trovando ospitalità, credo proprio per interessamento del Padre Girotti, in un primo tempo presso delle suore... e successivamente, a seguito di una segnalazione di pericolo nella villa di nostri amici. Dopo pochi giorni mio fratello Paolo ed io raggiungevamo le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà in val Pellice... L’11 ottobre 1944 mio fratello cadeva in uno scontro con le forze tedesche. Ho saputo della cattura di mio padre verso la fine di novembre sentendo per caso una mamma che era venuta in val Maira a trovare il figlio, dirgli: ‘Hanno preso il prof. Diena’. Noi vivevamo con un nome di battaglia ed io dovetti in silenzio raccogliere la notizia, senza far trapelare quello che stavo vivendo in quel momento. Subito dopo la liberazione ho cercato di ricostruire quanto era accaduto. Mio padre, nel suo assoluto isolamento, aveva più volte ricevuto visite dal Padre Girotti... Il 29 agosto 1944 Padre Girotti ricevette una telefonata... Ho potuto ricostruire con una certa sicurezza, che gli era stato detto che c’era un partigiano ferito cui occorrevano urgentemente cure da una persona di fiducia, e questa persona poteva essere il Diena, medico chirurgo. Sulla macchina che attendeva di fronte alla Chiesa vi era effettivamente una persona sul sedile posteriore con un braccio fasciato. Padre Girotti, non potendo pensare ad una così infame mistificazione, ma certamente convinto di dare aiuto a chi ne aveva bisogno, fece trasportare il ferito. La loro macchina era seguita a distanza da altre tre o quattro, anch’esse occupate da forze fasciste della Repubblica Sociale. Alla villa la porta venne aperta essendo stato riconosciuto Padre Girotti... Al cospetto di mio padre chi accompagnava il ferito gli chiese ‘Lei è il professor Diena?’. Alla risposta affermativa scattò l’operazione di cattura, essendo stata nel frattempo la villa completamente circondata. Vennero portati alle Carceri Nuove, ognuno su una macchina separata, la signora, suo figlio (ovvero gli effettivi padroni della villa che avevano dato ricetto al Diena – N.d.T.), Padre Girotti e mio padre. La signora è rimasta incarcerata per circa venti giorni... Il figlio è stato inviato nel lager di Bitterfelm, da cui è rientrato dopo la liberazione. Mio padre è stato ucciso a Flossenbürg il 2 marzo 1945 (a bastonate, mentre stava imboccando un povero vecchio sfinito dalla consunzione – N.d.T.). Padre Girotti è morto a Dachau il 1° aprile 1945.
Pochi giorni dopo la liberazione mi venne segnalato che ad Asti era stato fermato un repubblichino che si era vantato di aver partecipato alla cattura del prof. Diena. Recatomi alle carceri di Asti potei procedere a un breve interrogatorio di questa persona, di cui non ricordo il nome, che mi confessò che in quell’occasione, organizzata dalla Questura fascista di Torino, aveva recitato la parte del partigiano ferito”.
Martire a Dachau
Il Girotti fu quindi arrestato il 29 agosto 1944, a Torino, dalla
polizia fascista, in base ad uno stratagemma che faceva leva proprio
sulla carità cristiana del frate.
Ma chi informò la questura dell’attività clandestina del
frate, e soprattutto chi poteva essere a sua volta così bene
informato da rivelare anche il nome del prof. Diena che il Girotti
stava effettivamente proteggendo?
Padre Egidio Odetto, il domenicano allievo del Padre Girotti che
nel 1959 ne scrisse per primo una breve biografia afferma
testualmente:
“Puntualmente, come vuole l’insopprimibile
legge dello scontro del bene e del male nelle umane vicissitudini, a
fianco dell’intrepido religioso si profilò un Giuda che gli giurò
odio per tanto zelo di religiosa commiserazione”.
In base alla
conoscenza attuale dei fatti è comunque impossibile ricostruire con
certezza cosa sia realmente accaduto: la delazione – questa è
l’unica cosa certa – comunque ci fu e, come dimostra la stessa
dinamica dell’arresto, fu precisa e circostanziata. Chi si è
prestato a questo tradimento conosceva bene il Girotti ed era bene
informato riguardo alla sua attività clandestina.
Il Padre Girotti quindi, come si è detto, fu rinchiuso nelle
Carceri Nuove di Torino ed ivi rimase per circa tre settimane.
Durante questo breve periodo il Padre Balocco, priore del convento
torinese di San Domenico, si recò più volte all’albergo Nazionale
di Piazza San Carlo, in cui aveva preso sede il comando locale della
Gestapo, per intercedere per la liberazione del nostro Frate dal
momento che il comandante di allora Schmidt era un austriaco
cattolico, ma senza ottenere alcun risultato.
Il 21 settembre 1944 Padre Girotti venne incolonnato con altri
prigionieri nell’androne del primo braccio delle Nuove per essere
trasferito temporaneamente nel lager di Bolzano ed in quell’occasione
conobbe don Angelo Dalmasso, un giovane sacerdote, arrestato per aver
celebrato la Messa durante la notte di Natale tra i partigiani
stanziati sui monti Cuneesi, che condividerà con il Domenicano tutti
gli orrori del campo di Dachau. A Bolzano la prigionia si rivelò
sulle prime meno dura da sopportare, tanto è vero che in una sua
testimonianza lo stesso don Dalmasso definisce questo campo di
detenzione “una breve parentesi di relativa tranquillità”. I
due religiosi furono assegnati alla raccolta delle mele nei frutteti
lungo l’Adige e, tra gli altri detenuti, il nostro Domenicano ebbe
la ventura di incontrare il comandante partigiano Franco Ravinale,
originario di Alba, con il quale poté scambiare ricordi e confidenze
riguardo alla comune città natale. Nella tradizionale festa della
Madonna del Rosario, proprio mentre i due religiosi stavano recitando
questa pia orazione, venne dato l’ordine dell’adunata generale e
corse immediatamente voce tra i prigionieri che era giunta l’ora di
partire per la Germania. Contrassegnati con il triangolo rosso i due
sacerdoti furono condotti alla stazione ferroviaria di Bolzano e qui
vennero stipati con diversi altri detenuti sui carri bestiame per
essere trasportati, dopo un viaggio durato un giorno ed una notte,
nella cittadina di Dachau, un pittoresco paese poco distante da
Monaco di Baviera che ebbe la tragica sorte di vedere sorgere nel
proprio territorio comunale il più antico di tutti i lager nazisti.
Lasciamo che sia don Dalmasso a narrarci la loro drammatica entrata
in questo campo di detenzione:
“Padre Girotti ed io eravamo in
testa con i nostri abiti religiosi che ci erano stati restituiti poco
prima della partenza. Un militare germanico si avvicinò a Padre
Girotti e dopo avergli strappata violentemente di mano la valigia
cominciò ad urlare ed a malmenarlo. Parlava in tedesco e non
capivamo. Un prigioniero vestito con una certa cura si avvicinò a me
e in latino mi disse che bisognava lasciare tutto e spogliarsi
completamente, conservando solo le scarpe: noi due religiosi per
primi! Padre Girotti mi ricordò la decima stazione della Via Crucis
e iniziammo assieme l’umiliante operazione sotto una pioggerellina
d’ottobre penetrante fin nelle ossa”.
Era il giorno 9
ottobre 1944 e dopo questa aberrante accoglienza i due sacerdoti
vennero assegnati alla baracca 25 del lager di Dachau e furono
contrassegnati con il loro numero di internamento, ovvero 113355
per quanto riguarda il Padre Girotti e 113285 per don Dalmasso. In
questa baracca trascorsero la quarantena che durò praticamente fino
alla fine del mese.
Durante le quarantene che venivano messe in atto in tutti i campi
di concentramento tedeschi, è bene metterlo in evidenza, il detenuto
trascorreva un lungo periodo di isolamento in cui non poteva lavorare
e quindi non aveva diritto alle pur magre razioni di cibo
che erano distribuite ai deportati che svolgevano la loro opera
all’interno del lager. Il prigioniero veniva quindi lasciato
languire per un periodo più o meno lungo con un vitto giornaliero
scarsissimo. Al termine di questo sfibrante periodo i due religiosi
furono trasferiti nella baracca 26 riservata agli ecclesiastici e
affollata in modo inaudito: basti pensare che nonostante fosse stata
costruita per ospitare poco più di 180 persone, nella sua struttura
originale ne conteneva in realtà 1.090 nonostante una stube,
ovvero uno dei quattro padiglioni in cui era stata suddivisa, fosse
stata adibita a Cappella per la celebrazione delle funzioni! Venne
quindi assegnato loro un lavoro ed il Girotti dovette svolgere la sua
opera nel plantage, ovvero una vasta tenuta agricola che
vantava tra i propri azionisti i maggiori dirigenti del partito
nazista quali Himmler e Goebbels. Qui il nostro Frate fu costretto ad
estrarre, usando solamente le proprie mani, le patate dai magazzini
ossia profonde fosse riempite di tuberi e poi ricoperte di
terra, che funzionavano praticamente come giganteschi frigoriferi per
la conservazione degli ortaggi. D’inverno, ovviamente la terra era
ghiacciata e le mani si ferivano e sanguinavano. Il lavoro inoltre
doveva essere eseguito a carponi, senza un attimo di sosta,
praticamente dall’alba al tramonto, sotto la pioggia, la neve, le
sferzate degli aguzzini addetti alla sorveglianza, molte volte con
gli abiti inzuppati dall’acqua. In queste condizioni di lavoro così
disumano non tardarono a comparire i primi sintomi delle malattie che
lo portarono ben presto ad agonizzare nel revier, la
terribile infermeria del campo in cui imperversavano sui prigionieri
malati il prof. Schilling ed il dottor Rascher, due medici criminali
che conducevano esiziali esperimenti sui detenuti ricoverati.
Il
Girotti accusò quasi subito un forte dolore lombare unito ad una
febbre alta e, grazie all’aiuto di un certo mons. Sperling, di
nascosto dai tedeschi poté essere visitato da un medico
cecoslovacco, anche lui detenuto nel lager, che gli riscontrò un
principio di nefrite e di artrite. Per l’interessamento di questo
medico gli fu sospeso il lavoro nel plantage e fu adibito a
fare asole alle tende militari e ad attaccare bottoni, attività
quest’ultima che fu interrotta verso la fine di febbraio dallo
scoppio di un’epidemia di tifo petecchiale che causò la morte, in
tutto il lager, di circa diecimila internati e che, tuttavia, non
colpì il nostro Domenicano.
Ma la fine del Padre Girotti era ormai
prossima: nonostante il lavoro meno sfibrante a cui era stato
sottoposto, il male di cui soffriva si aggravò e dal 1° marzo 1945
dovette restare in baracca tormentato da dolori reumatici e da
gonfiori alle gambe. Dopo circa due settimane, il gonfiore si era
ormai esteso a tutto il lato destro del corpo. Lo stesso medico
cecoslovacco, che aveva sollevato Padre Girotti dal duro lavoro, lo
fece trasferire in infermeria sotto la sua cura e, dietro esame
radiologico, gli diagnosticò un probabile carcinoma. Nel frattempo
fu tolto dalle cure del medico cecoslovacco e fu affidato ad un
medico tedesco.
Benché fosse ormai molto sofferente non sembrava ancora giunto in
punto di morte, perciò quando il 1° aprile 1945, Domenica di
Pasqua, giunse la notizia del suo decesso si pensò immediatamente
che la fine del Domenicano fosse stata accelerata con una iniezione
venefica, come si era soliti agire nel revier di Dachau con
i malati considerati inguaribili o comunque ingombranti, bocche
inutili da sfamare. Invano, alla notizia della sua morte, don
Dalmasso, Padre Manziana ed il domenicano Padre Roth di Colonia ne
ricercarono il corpo allo scopo di identificarne la salma,si è però
sicuri che il cadavere del Girotti non venne incenerito perché i
forni crematori avevano cessato di funzionare da circa tre mesi per
mancanza di combustibile: il Padre Girotti fu quindi sepolto in
una fossa comune sul Leitenberg, una collina che sorge a circa
tre chilometri dal campo di Dachau.
Anche tra i reticolati del lager, Padre Girotti, nonostante le
vessazioni da lui subite, ha praticato la carità, ricorda infatti
don Dalmasso: “Restammo una ventina di giorni nella baracca
della quarantena, quasi completamente nudi e con un cibo
scarsissimo... Un giovane prigioniero, anziano del campo, venne a
cercare Padre Girotti, era il Padre Leo Roth, priore dei Domenicani
di Colonia, da vari anni internato a Dachau. Portò al Padre Girotti
un pezzo di formaggio.
Padre Girotti che si consumava come tutti per la fame, se ne
privò, lo diede a me dicendo: ‘Tu sei più giovane e ne hai più
bisogno’. Lui aveva 39 anni, io ne avevo 24. Sento ancora adesso il
rimorso di quella porzione di formaggio, ma era la sopravvivenza”.
Come è stato in seguito suffragato da diversi studi psicologici
condotti a tale riguardo, lo scopo principale dei lager era quello di
distruggere l’individuo non solo nel corpo ma anche nello spirito:
il prigioniero infatti, prima di morire, non solo doveva sfinirsi nel
lavoro bestiale che gli veniva imposto fino allo stremo delle sue
forze, ma distrutto dalla fame e dalla paura doveva trasformarsi a
poco a poco in un essere irrazionale ed istintivo, molto più
simile ad un animale selvatico che non ad un essere umano.
Quattro settimane dopo la morte di Protti, domenica 29 aprile
1945, alle ore 17,20, i primi reparti dell’esercito americano
entravano vittoriosi nel lager e il giorno seguente tutto il campo di
Dachau brulicava di bandiere di ogni nazionalità: sulla baracca 26
sventolavano i colori pontifici. Con la mancata distruzione di
determinati registri di detenzione si è potuta reperire
l’Häftlings-Personal-Karte del Padre Girotti ovvero la
sua scheda personale di prigionia, sulla quale troviamo scritto:
VERHAFTUNGSGRUND: UNTERSTÜTZUNG AN JUDEN
ovvero “Ragione dell’arresto: aiuto agli ebrei”.
Lo Stato d'Israele ha istituito negli
anni '50 lo Yad Vashem, il Mausoleo di Gerusalemme per
ricordare le vittime della "soluzione finale" voluta da
Hitler. All'inizio degli anni '60 è sorta la "Commissione
dei Giusti", con il compito di assegnare il titolo di
"Giusto tra le Nazioni" a chi, non ebreo, ha salvato degli
ebrei negli anni della persecuzione nazista e all'interno di Yad
Vashem è stato creato il "Giardino dei Giusti", con
un viale in cui ogni albero è dedicato a un giusto. Negli ultimi
anni, per mancanza di spazio, l'albero è stato sostituito dal nome
inciso nei muri di cinta del giardino.
La Commissione, presieduta per quasi trent'anni dal giudice della Corte Costituzionale Moshe Bejski, ha riconosciuto e documentato finora circa 20.000 giusti
La Commissione, presieduta per quasi trent'anni dal giudice della Corte Costituzionale Moshe Bejski, ha riconosciuto e documentato finora circa 20.000 giusti
Nel 1995, nel 50° anniversario della sua morte, Padre Girotti è
stato ufficialmente dichiarato “Giusto tra le Nazioni”, la
massima onorificenza tributata a chi ha aiutato gli ebrei durante le
persecuzioni e la medesima organizzazione Yad Vashem ha
fatto incidere il nome di Padre Girotti sul muro del Giardino dei
giusti a Gerusalemme.
Il 27 marzo 2013 Papa Francesco ha
autorizzato la Congregazione dei Santi a pubblicare il decreto sul
martirio del Padre Giuseppe Girotti.
Chi è il “Giusto”?
Certamente non un
“eroe”, definizione troppo semplicistica e superficiale.
Secondo il Talmud
in qualsiasi momento della storia, ci sono sempre Trentasei Giusti al
mondo.
Essi sono nati Giusti,
cioè persone che non possono ammettere l'ingiustizia. E' per amor
loro che D-o non distrugge il mondo. Nessuno sa chi sono, e meno che
meno lo sanno loro stessi. Ma sanno riconoscere le sofferenze degli
altri e se le prendono sulle spalle.
Sanno
vedere cio' che è bene e giusto e non possono non agire di
conseguenza, facendo quel Bene. Non si uniformano, sanno dire “no”
,figure
di coraggio civile che, oggi come ieri, mettono a rischio la propria
vita in difesa dei diritti umani, testimoni di verità, di
compassione.
Esiste un luogo a
Gerusalemme, sul monte delle Rimembranze, che prende il nome di
"Parco dei Giusti", dove migliaia di piante
ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli ebrei durante gli
anni dell'Olocausto.
Domani, 26 aprile, nel Duomo di Alba,
Padre Girotti verrà beatificato, sarà canonizzato il giorno prima
di Giovanni Paolo XXIII, forse non a caso. Entrambi, nell'opera di
prestare soccorso agli ebrei perseguitati dalla ferocia nazista e
fascista prefigurarono certamente i principi del Concilio Vaticano II
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